LUGANO – Per tutto il popolo bianconero e per l’intera società dell’HC Lugano quella di sabato è stata una serata decisamente speciale. Dopo aver ritirato il “33” di Petteri Nummelin un anno or sono, il club ha reso omaggio ad uno dei suoi giocatori simbolo del recente passato, alzando sotto la volta della Reseghina la maglia numero 40 di Flavien Conne.
L’oggi 34enne si è reso protagonista di un carriera che lo ha visto difendere i colori del Lugano in ben 589 occasioni, durante le quali ha saputo mettere a segno 95 reti e fornire 151 assist, laurenadosi anche campione svizzero a due riprese nel 2003 e 2006. Con lui abbiamo avuto una bella chiacchierata, grazie alla quale abbiamo scambiato le nostre opinioni su temi e argomenti decisamente interessanti.
Flavien Conne, in una serata come questa, banale dirlo, ci sono mille emozioni. Cosa provi in questo momento?
“Ripensando a tutto quello che ho vissuto, le vittorie e le sconfitte, provo sensazioni strane. Penso che avrò bisogno di giorni, mesi, oppure anni per capire realmente quanto è grande il segno che mi è rimasto da un taglio così netto”.
L’Hockey Club Lugano ha deciso di ritirare la tua maglia per onorare i tuoi 14 anni di carriera in bianconero. Oggigiorno si vedono contratti sempre più corti, giocatori che vanno e vengono, e il tuo caso è una rarità. Ma quali sono le ragioni che portano a rimanere 14 anni con la stessa squadra?
“È vero, la mia è stata una storia molto lunga, e per far sì che lo sia stata ogni tanto ci è voluta della tolleranza, dei compromessi sia da parte del club che da parte di me stesso, soprattutto quando arrivavano i momenti duri. È anche questione di capacità di adattamento, e parlo per me come giocatore, ma anche perché ci si innamora di un’organizzazione e della sua filosofia, fino a riuscire a capire che è il posto giusto per dimostrare il proprio valore, e io non ho mai avuto dubbi sulla mia permanenza a Lugano. Comunque all’inizio della mia carriera mai avrei pensato di poter intraprendere un “viaggio” come quello che ho vissuto nella mia esperienza in bianconero, e per questo devo ringraziare l’Hockey Club Lugano per aver realizzato un sogno che avevo sin da bambino”.
In questo “viaggio”, ci sono state più di 600 partite in LNA, 2 titoli di campione svizzero, partecipazioni ai Giochi Olimpici e ai campionati mondiali per un curriculum che pochi possono vantare. Ma tra tutto questo c’è spazio per dei ricordi che affiorano più di altri?
“Difficile scegliere, perché ci sono stati momenti belli e momenti brutti che mi hanno segnato. Di certo il primo titolo che ho vinto nel 2003 è un ricordo che non svanirà mai. È il passo più grande che puoi fare in campionato e i compagni che hai al tuo fianco alla fine diventano parte della tua famiglia. Quella vittoria è stata forse la più bella perché ricordo bene anche la mia prima grande sconfitta proprio il primo anno in cui giunsi a Lugano, in un club con grandissime ambizioni che io condividevo. Quella stagione fummo sconfitti in finale dagli ZSC Lions con il gol di Samuelsson all’overtime in una serie che conducevamo per 3-1 e perdemmo 3-4, ma “grazie” a una così bruciante sconfitta, nel 2003 ci fu ancora più gusto nell’alzare la coppa. Oltre a questi ci sono molti altri ricordi, belli e brutti, ma comunque importanti perché fanno parte della vita di un uomo e di un giocatore”.
Sei uno dei pochi, assieme ad altri veterani come Julien Vauclair e Sannitz, ad aver vissuto quasi tutto del Lugano di questi ultimi 15 anni. Dai titoli, all’onta dei play out e ai vari tentativi di rinascita. Ora che hai vissuto anche l’avvento di Fischer in panchina e la sua “rivoluzione”, pensi di poter dire che il Lugano è sulla strada giusta per tornare a vincere?
“È vero, noi tre in particolare abbiamo vissuto una carriera a due velocità. Siamo passati dai titoli e le vittorie a delle brusche frenate sulla nostra strada. Dalla mia esperienza posso dire che il Lugano merita una squadra al vertice perché è nella sua tradizione, e deve poter puntare al titolo regolarmente. Da quello che vedo oggi si sta lavorando bene, sia sul piano sportivo che in quello societario, e sono sicuro che si sia imboccato la strada giusta per tornare ai livelli che più competono a questa squadra. Però non sarà facile, in Svizzera ci sono sempre molte più squadre con obbiettivi ambiziosi, mentre noi nel corso degli anni ci siamo seduti sugli allori e ci sono stati diversi errori sia in ambito sportivo che societario. Oggi dico ai miei ex compagni, ma anche alla società, che bisogna lavorare duro ogni giorno ed essere in grado di mettersi in discussione per rimanere al top, non possiamo vivere di ricordi. Questo è il mio messaggio per loro”.
In questi 14 anni a Lugano hai vissuto mille vicissitudini che hanno portato sulla panchina ben 13 allenatori diversi. C’è qualcuno di loro che ti ha lasciato ricordi particolari o al quale sei rimasto più legato?
“Sono stati tanti, e molti non me li ricordo al momento perché sono rimasti per un breve periodo, ma faccio il nome di Jim Koleff, la persona che a 20 anni mi ha convinto a trasferirmi in una nuova realtà a 400 km da casa mia e mi fece scoprire l’hockey “dei grandi”. Naturalmente non posso non menzionare Larry Huras, che ci fece vincere il titolo del 2003 e tornò in un paio di riprese a Lugano, anche lui mi ha lasciato ricordi indelebili. Per quello che riguarda il presente, Fischer e Andersson li conoscevo ormai benissimo, avendoli avuti sia come avversari che come compagni quando erano giocatori, e in particolare Fischer era stato mio compagno di linea alle Olimpiadi di Torino del 2006. Entrambi hanno idee chiare e innovative e sono sicuro che siano le persone giuste per ridare energia a tutto il movimento e fare progredire la squadra sul ghiaccio”.
Ora che la maglia numero 40 è appesa sotto le volte della Resega e i pattini sul fatidico chiodo, Flavien Conne ha deciso cosa farà nel suo futuro?
“Quello che farò “da grande”? È tutto molto aperto per ora, ho diversi interessi ma non rimarrò molto lontano dall’hockey. Ora si apre un’altra pagina della mia vita, sarà tutta da scrivere e voglio scoprire nuovi confini, ma prima di tutto mi dedicherò alla mia famiglia”.