Per un ventennio, dal 1993 al 2012, Igor Fedulov è stato uno delle attrazioni del nostro campionato. A 55 anni l’ex Ambrì Piotta e Lugano è sempre attivo nel mondo dell’hockey allenando nelle giovanili del Ginevra. Un incontro tra passato, presente e futuro.
Igor, sono passati ormai 29 anni da quando arrivasti, e sei ancora qui. Lo avresti mai pensato quando presi quell’aereo diretto in Svizzera?
“Sicuramente no, non pensavo mica di restare così a lungo. La vita a volte riserva sorprese e questa è decisamente una di quelle belle, sono sempre stato benissimo durante tutti questi anni. Qui ho conosciuto mia moglie, sono nati i miei figli, insomma sono felice di come sia andata, sono stato fortunato”.
I ricordi dei tuoi primi giorni in Ticino sono ancora ben impressi o con il tempo si sono sbiaditi?
“Sono stampati nella mia memoria. Mi ricordo ad esempio il primo allenamento ad Ambrì, la pista era piene di persone… Per me, venendo dalla Russia, era una cosa completamente inusuale e mi chiedevo che ci facesse tutta quella gente a guardare una semplice sessione di esercizi. Un altro souvenir indelebile fu il primo derby di campionato, già due ore prima dell’ingaggio d’inizio gli spalti erano pieni e anche in quella circostanza mi domandavo come mai i tifosi fossero già presenti. Ho capito in fretta l’importanza delle sfide contro il Lugano”.
Fedulov, che curiosamente iniziò a giocare a hockey solamente all’età di 12 anni dopo aver praticato tanti altri sport, è dedito alla crescita dei giovani e non ha praticamente mai allenato adulti, come mai?
“Il mio post carriera è andato in sostanza sempre in questa direzione. Mi piace molto lavorare con i ragazzi, condividere il mio sapere e aiutarli a migliorare. È stata una mia scelta e nel settore giovanile del Ginevra mi trovo davvero bene. Nell’imminente stagione allenerò gli U17”.
Ricoprendo questo ruolo, l’ex attaccante è ovviamente un po’ preoccupato per la nuova regola concernente i 6 stranieri schierabili…
“Non è sicuramente una novità positiva per i giovani svizzeri. Uno straniero occupa sempre un posto importante all’interno di una squadra e vi garantisco che per un ragazzo è già difficile ora approdare in Lega Nazionale. Con 6 import sarà ancora più dura, ma non importa. A Ginevra continueremo il nostro lavoro e cercheremo di sviluppare al massimo la formazione al fine di portare più talenti possibili ai massimi livelli”.
Arrivare al top non è evidente, vincere ancora meno. Il nativo di Kirovo-Tchepetsk, una cittadina di 90mila abitanti situata a mille km a est di Mosca, nel suo lungo percorso ha vinto solamente un titolo nel massimo campionato (oltre a due ottenuti in serie cadetta con Ginevra e Losanna). Quella coppa l’alzò con il Lugano nel 1999, scherzo del destino, proprio nella casa che lo accolse 6 anni prima, ovvero la Valascia. Quali sono i ricordi di quella serata?
“Guardai la sfida dalla tribuna, ero lo straniero in soprannumero, fu una scelta tecnica dell’allenatore Jim Koleff. L’Ambrì era una squadra molto forte, ma il Lugano arrivò più pronto e in forma migliore a quella finalissima, inoltre Cristobal Huet a difesa della gabbia fece decisamente la differenza con le sue grandi parate. Fu una serata decisamente emozionante”.
Ora l’interrogativo è d’obbligo, a quale realtà ticinese sei legato maggiormente, quella che ti ha portato a vivere qui o quella con cui hai trionfato?
“Ma che domanda mi fai? Non posso fornire una risposta esplicita, ma non perché non voglia espormi… Semplicemente il livello di legame è lo stesso. Entrambi i periodi, sebbene decisamente diversi, sono stati bellissimi. In Leventina ero giovanissimo, era tutto nuovo, sensazioni mai provate, un grande rapporto con i tifosi. A Lugano avevo invece già avuto varie esperienze, ero maggiormente maturo, già sposato e padre di famiglia (la secondogenita Jasmine nacque tre giorni dopo la finalissima ticinese, ndr)”.
Pur avendo giocato in entrambe le squadre ticinesi, sei sempre stato amato e soprattutto rispettato da entrambe le tifoserie, come mai?
“Difficile da dire, bisognerebbe chiederlo ai fans. A mio avviso perché sono stato un giocatore che ha sempre dato tutto in ogni singola partita, non mi sono mai tirato indietro e la gente si è accorta di questo”.
La parte del leone nella carriera l’ha fatta comunque la Romandia, dove risiedi tuttora. Tre anni a Martigny (in una stagione 56 gol e 62 assist in 41 partite!), nove a Ginevra e due a Losanna. Il club vallesano e quello ginevrino hanno addirittura ritirato la tua maglia, quasi un unicum per un giocatore…
“È incredibile, sono grato ai due club, è veramente speciale. È raro vedersi ritirare la maglia, è un privilegio destinato a pochi, figurarsi addirittura due volte. Ho apprezzato tanto le cerimonie organizzate per l’occasione. Vedere la propria maglia innalzarsi sotto il tetto degli impianti, rivedere le scene da gioco e le reti realizzate sono stati attimi emozionanti”.
Nella tua carriera hai disputato pure due Mondiali con la Nazionale russa giocando con fuoriclasse come Alexei Yashin, Valeri Kamensky e Andrei Kovalenko, la crème de la crème dell’epoca. Hai ancora contatti con loro e che sensazioni hai provato?
“Essere al fianco di quelle stelle è stato splendido, ho sempre cercato d’imparare qualcosa da loro, non solo sul ghiaccio, ma anche nell’ambito legato alla preparazione atletica. Ogni tanto mi sento ancora con Kamensky e quando mi reco in Russia a volte incontro Alexei Yashin. Il più forte con cui abbia mai giocato? Direi Valeri Kamensky, era fenomenale, faceva mosse impossibili, quando era in possesso del disco riusciva a superare ogni ostacolo e segnava da qualsiasi posizione, ti chiedevi come faceva”.
Quanta Russia è rimasta nel tuo sangue?
“Sono nato in Russia e sarò sempre russo pur avendo passato ormai metà della mia vita in Svizzera. Ho ancora tanti familiari nel mio paese d’origine, ad esempio mio fratello, cerco di visitarli ogni anno, non si dimenticano le origini”.
Come stai vivendo il momento oscuro legato al conflitto russo-ucraino, qual è il tuo pensiero?
“Non voglio entrare in merito, è difficile parlarne, non si capisce bene cosa stia succedendo, sono cose bruttissime. Preferisco discutere di temi dove abbia le necessarie conoscenze al fine di potermi esprimere, restiamo dunque sull’hockey”.
Dedichiamo allora il finale all’anima hockeistica della famiglia Fedulov…
“I miei figli hanno ereditato questa passione, Andrei gioca nell’HC Vallée de Joux in prima divisione. Jasmine milita invece nel Losanna ed è reduce da un brutto infortunio, ha strappato i legamenti della caviglia e ha giocato solo nel postseason, la sua squadra è stata promossa in LNB. Cerco di andare a vedere entrambi il più spesso possibile. Io mi alleno ogni lunedì con i veterani e di tanto in tanto disputiamo delle partitelle. La tecnica è ancora quella dei bei tempi, purtroppo il fisico e la velocità di esecuzione ovviamente no, ma poco importa: ho l’hockey nel sangue e sino a quando ne avrò la possibilità andrò sul ghiaccio a divertirmi”.