AMBRÌ – “Stiamo attenti, perché ciò che abbiamo non è ancora nostro”. Con queste parole Luca Cereda alcuni giorni fa ammoniva chi vedeva l’Ambrì Piotta già qualificato ai playoff nonostante ci fossero ancora due partite da disputare, ma il discorso può essere sicuramente allargato e applicato ad ampie vedute.
I biancoblù – dirigenza, staff, giocatori – si sono resi protagonisti di una regular season semplicemente eccezionale, che non deve però far dimenticare il contesto in cui la squadra sta operando, ovvero nel secondo anno di una ricostruzione sportiva che ha sì subito un’accelerazione esaltante, ma che proprio per questo non dovrà deviare il club dal percorso tracciato.
Sin qui l’Ambrì Piotta ha costruito la sua identità, la sua filosofia ed in definitiva il suo attuale successo su dei concetti stabiliti all’entrata in carica di Paolo Duca e Luca Cereda, e che sono poi stati seguiti alla lettera mantenendo le proprie stesse promesse. Nessuna eccezione, perché altrimenti l’intera idea verrebbe a cadere.
Ne è così nato un Ambrì lavoratore, che ha fatto dell’entusiasmo e della forza del gruppo la sua arma più letale, presentandosi sempre sul ghiaccio come squadra spavalda ma mai arrogante. Convinta dei propri mezzi ma rispettosa di quelli degli avversari, nelle (poche) serate in cui questi valori sono venuti meno sono arrivate anche delle sconfitte poco piacevoli, utili però a rafforzare l’idea di imprescindibilità di tenere fede alle proprie basi.
Giusto dunque interpretare i playoff come un’opportunità – di crescita ma anche di conferma – senza però tornare a trasformarli in quell’ossessione che nell’ultimo decennio aveva portato a scelte avventate e poco sagge a lungo termine.
“Ciò che abbiamo non è ancora nostro”, diceva Cereda, e questo è vero anche se si pensa a quello che è l’obiettivo ultimo del processo di crescita sportiva del club, ovvero la volontà di tornare stabilmente ad essere una squadra di media classifica – se poi arriveranno annate in cui si farà di più, ben venga – e per arrivare a questa stabilità c’è ancora tantissimo lavoro da fare.
Non inganni dunque il brillante quinto posto ottenuto al termine – per giunta – di un campionato eccezionalmente competitivo, perché non vi è garanzia di potersi ripetere se non continuando a lavorare ottimamente come fatto negli ultimi due anni, e proprio in questo senso l’attuale torneo dovrà portare ancora più determinazione nel portare avanti un progetto che si sta confermando vincente. L’appetito vien mangiando.
Non si guardi però troppo avanti, perché il momento attuale l’Ambrì è giusto che se lo gusti in ogni sua sfaccettatura, accogliendo l’abbraccio di una tifoseria che la squadra negli anni non l’aveva mai abbandonata, ma che piano piano si stava un po’ “raffreddando”. Il gruppo di Cereda in poco tempo è invece tornato a fare breccia, riportando alla Valascia emozioni e sensazioni che mancavano da quando il numero 16 non lo indossava Zwerger, ma lo stesso allenatore.
Questa è forse la vittoria più importante di questo Ambrì, amato per davvero dai suoi tifosi e rispettato per davvero dagli avversari, ed è indubbio che l’aver ottenuto questi risultati con dei mezzi sempre limitati e per giunta al ribasso abbia fatto alzare diverse sopracciglia anche oltre Gottardo.
Duca e Cereda ne sono gli artefici e – senza spendere troppe parole di elogio, che sono diventate superflue tanto evidente è la bontà del loro lavoro – resta incredibile constatare quanto la loro presenza abbia davvero cambiato un club che si è morso la coda per un decennio. La squadra è così rapidamente diventata lo specchio della loro linea di pensiero, con la mentalità alla base del sistema di gioco che viene prima delle individualità, e che finisce poi per esaltare le peculiari caratteristiche di ognuno.
Con un messaggio sempre chiaro e preciso Cereda ha trovato un ruolo per ogni elemento in rosa – Kienzle e Kneubuehler sono gli unici due che non hanno mai avuto una reale collocazione – e questo ha permesso a tanti di sbocciare oppure rinascere. Gli esempi sono innumerevoli, da Jelovac a Trisconi, da Dotti a Kostner, da Ngoy a Müller… Quasi tutti i giocatori stanno vivendo una delle migliori stagioni della loro carriera, e se si guarda al futuro la storia potrebbe ripetersi con elementi come Rohrbach oppure Pinana.
Volendo ci si potrebbe poi dilungare nell’analizzare numeri e statistiche, ma per rendere perfettamente l’idea basta constatare che per il secondo anno consecutivo l’Ambrì si è migliorato praticamente in ognuno dei dati “base” (per le statistiche avanzate ci vorrebbe un maggiore approfondimento) considerati dalla SIHF.
Impressionante quanto siano migliorati in maniera drastica alcuni numeri, anche se ci sono settori in cui i biancoblù possono fare dei passi avanti. Ne è un esempio il campo delle penalità, dove l’Ambrì è stata la squadra ad aver rimediato più due minuti di tutti dopo il Lugano, ed anche agli ingaggi i numeri restano sotto il 50% di efficacia (48.83%), questo nonostante i progressi fatti da Müller (da 43.9 a 46.8), Goi (da 39.3 a 44.9), Kostner (da 43.1 a 47.8) e l’arrivo dell’esperto Novotny (56.6).
Da quello spareggio di Langenthal, insomma, l’Ambrì Piotta di strada ne ha fatta tantissima, anche e soprattutto perché non ha perso tempo guardandosi allo specchio.
“La via è giusta. Sappiamo che contano i risultati, ma la paura non detterà le nostre scelte”, ci aveva spiegato Paolo Duca nell’estate 2017, a poche settimane dall’inizio della sua avventura come DS. Questa è stata la promessa più importante che i biancoblù hanno saputo mantenere sull’arco di questi due anni, la vera base per i risultati ottenuti sinora.
Al via dunque i playoff, che mettono i biancoblù di fronte all’unica questione in sospeso di questa stagione. Indipendentemente da come andrà a finire, anche stavolta l’aspetto fondamentale sarà non tradire le proprie basi. Il resto verrà da sé…