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Interviste

Eichmann: “Ai nostri giovani portieri va data più fiducia, che peccato la fine del Langenthal”

L’ex portiere della squadra bernese è oggi goalie coach del Rapperswil, dopo aver anche lavorato come DS a Langnau: “Rivesto ogni ruolo volentieri e con passione, quando questo ingrediente mancherà cambierò settore”

(SC Langenthal)

LANGENTHAL – Quando si parla di Langenthal il pensiero non può non andare a Marc Eichmann. L’attuale allenatore dei portieri del Rapperswil ha difeso per ben 10 anni consecutivi la gabbia degli “Oberaargauer” dal 2006 al 2016, anno in cui ha appeso i gambali al chiodo.

Una volta conclusa l’attività agonistica, Eichmann è rimasto per ulteriori quattro stagioni nel club nel ruolo di preparatore degli estremi difensori e membro di direzione. Con lui siamo tornati sulla scelta del Langenthal di ritirarsi dalla Swiss League, dovuta a motivi finanziari e soprattutto logistici legati alla vetusta Schoren.

Marc Eichmann, nonostante tu non sia più a Langenthal si può dire che la Schoren ha rappresentato tanto nella tua vita hockeistica, ed è una sorta di seconda casa?
“Assolutamente, dieci anni trascorsi in porta e altri quattro nella dirigenza sono molti e significano tanto per me. Non è la normalità restare per così tanto tempo in seno allo stesso club, è un fatto sempre più raro nel mondo sportivo odierno. È dunque decisamente speciale il tutto”.

Già da parecchio tempo si mormorava di un possibile ritiro da parte della società, ma in questi casi spesso si tende a sperare in un lieto fine. Qual è stato il tuo sentimento quando hai appreso la notizia?
“C’è da dire che avevo un po’ di informazioni insider e avevo percepito che la tendenza sarebbe stata quella di rinunciare alla Swiss League, anche se si è provato di tutto per evitare questo scenario. Alla fine comunque pure io ho avuto la certezza definitiva solamente al momento del comunicato ufficiale. È veramente un gran peccato, c’è amarezza”.

Da fuori è difficile capire come mai una città come Langenthal – con tradizione, successi e un bel bacino di spettatori – non sia riuscita a trovare una soluzione in merito al problema del vetusto impianto. Che idea ti sei fatto?
“È difficile da dire, ho sempre sentito che il processo politico non avanzava in merito al problema delle infrastrutture. Questo sicuramente è un motivo, ma non è l’unico. Forse pure degli sponsor, che da anni investivano soldi, hanno deciso che toccava agli ambienti politici risolvere la questione. Ciò non è successo e dunque si è arrivati a questa situazione”.

(MySports)

Si può dire che tutti ne escono perdenti da questa storia?
“Certamente, nessuno ne esce vincente o si può vedere come un vincitore. Stiamo parlando ad esempio di giovani giocatori che potevano sfruttare il club come rampa di lancio per poi finire in National League, come accaduto in passato. Oppure di parecchi impiegati che per anni hanno dato tutto alla causa e tifosi a cui sono state tolte ambizioni sportive e sogni. Non possiamo dimenticare che il Langenthal è riuscito a vincere ben tre titoli dal 2012 al 2019. E infine per tutta la regione: il club di hockey era una sorta di attrazione che arrivava un po’ in tutta la Svizzera”.

Credi sia utopia tra qualche anno rivedere il Langenthal in Swiss League?
“No, io credo sia possibile. Se ci saranno le persone giuste disposte a investire tantissime ore con molto impegno e dedizione, perché no? In fondo è un po’ come nel 2002. Dopo la promozione in Swiss League nessuna pensava che il club potesse resistere a quei livelli, invece non solo ci riuscì, ma si stabilì ai piani alti della lega”.

Tornando alla tua carriera, il titolo e il conseguente spareggio assai avvincente contro l’Ambrì nel 2012 sono stati i tuoi highlight? Cosa ti ricordi di quei giorni?
“Sono state settimane folli. Nessuno si aspettava di vederci trionfare. Tutti gli esperti puntavano sul potente Losanna, dicevano che non eravamo pronti a vincere il campionato. Questo è stato l’aspetto più bello e che ha reso speciale quella vittoria, il fattore sorpresa. Forse avremmo anche potuto sconfiggere l’Ambrì, ma non saremmo comunque potuti salire nel massimo campionato e noi giocatori ne eravamo al corrente. Era dunque una situazione speciale, ma fu molto divertente disputare quelle partite contro i leventinesi. È stato sicuramente uno dei punti più alti della mia carriera, ma non il solo, aggiungerei anche il titolo vinto con il Berna e l’altro titolo raggiunto con il Langenthal quando ero nello staff. Però ecco, il titolo del 2012 è forse maggiormente speciale perché arrivato in modo sorprendente e inatteso ai più”.

Attualmente a Rapperswil sei ritornato a fare solamente l’allenatore dei portieri. A Langnau fungevi anche da direttore sportivo. Ti è piaciuta l’esperienza in questa funzione oppure ti senti più a tuo agio in qualità di coach?
“In qualsiasi lavoro cerco di fare il meglio e imparare il massimo possibile. Sono contento di aver potuto vedere e vivere entrambe le prospettive. Da un lato la parte manageriale, quella legata all’ufficio e alla burocrazia, da un lato quella inerente al ghiaccio. Sono tutte belle esperienze. Io faccio tutto volentieri, non importa il tipo di attività e ci metto sempre la passione. Quel giorno che sentirò di non avere più la passione per quello che faccio nel mondo hockeistico, cambierò completamente ramo”.

(Simon Bohnenblust)

Ormai non siete più in moltissimi a lavorare solamente con portieri svizzeri, ti preoccupa l’andazzo?
“Forse non parlerei di preoccupazione, ma dobbiamo stare attenti allo sviluppo. Settimana scorsa abbiamo avuto un campo di allenamento a Zuchwil con tanti portieri di punta svizzeri e se n’è discusso. Ci vuole tempo, ma dobbiamo avere fiducia nel nostro lavoro e nei nostri ragazzi. Disponiamo di bravi elementi, diversi giovani che hanno però bisogno di ghiaccio. In questo senso è appunto peccato che attualmente la lega cadetta sportivamente sia un po’ in crisi. Io spero che in futuro possa esserci maggiore ragionevolezza e la tendenza a ingaggiare portieri stranieri venga riposta nel cassetto. A questo proposito credo che il Ginevra abbia lanciato un bel segnale, vincendo il titolo con due estremi difensori svizzeri. Speriamo che in tanti seguano questo esempio”.

È stato difficile per te guadagnare la fiducia di Melvin Nyffeler? Lui lavorava da anni con Tom Schlegel e lo conosceva da una vita, non deve essere stato evidente per te subentrargli…
“Certo, non è stato semplice, ma era prevedibile. In questi casi c’è sempre bisogno di tempo. Credo che ad esempio anche Leonardo Genoni e il suo coach Simon Pfister abbiano necessitato di un po‘ di ambientamento reciproco all’inizio. Melvin ha lavorato appunto per così tanto tempo con Tom, ogni portiere ha bisogno di una persona di fiducia, eravamo entrambi coscienti delle difficoltà iniziali. Abbiamo discusso molto e non sempre avevamo la stessa opinione. Complessivamente direi che la stagione è andata bene, Melvin ha disputato un ottimo campionato, specialmente durante la regular season, e ora siamo entrambi felici dell’evoluzione e di poter lavorare assieme“.

Nyffeler lo conosciamo bene, la sua riserva Robin Mayer invece è ancora un po’ sconosciuto al grande pubblico, cosa puoi dirci di lui? Potrà diventare un titolare nella massima lega?
“Robin è decisamente un altro tipo di portiere rispetto a Melvin, già solo per via della corporatura e della stazza fisica. Ha una buona tecnica, molto pulita, decisivo sarà il mentale. Sarà disposto a investire per arrivare a fare il passo in avanti? Noi dobbiamo guidarlo e supportarlo, con i suoi skills può sicuramente arrivare a fare il titolare in NL, ma dovrà avere appunto il giusto mindset”.

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