Per alcuni è semplicemente il fratello di Melvin. Decisamente riduttivo. Dominic Nyffeler è stato il portiere più forte e costante dell’ultima decina d’anni nella lega cadetta. Un lungo girovagare tra Basilea, Turgovia, Ajoie, Kloten e Olten con percentuali di parate sempre tra il 91% e il 93%.
A 31 anni l’estremo difensore è ormai a un bivio, con un futuro probabilmente al di fuori dell’hockey. Una scelta per certi versi “obbligata” e arrivata più in fretta del previsto.
“Dodo” sono passati quasi tre mesi dalla fine della tua stagione con l’Olten. Cosa hai fatto in questo lasso di tempo, hai pensato e preparato il tuo futuro?
“Io e la mia famiglia stiamo lavorando in questo senso. La famiglia in queste settimane ha avuto la priorità. Siamo tornati ad abitare nei pressi di Zurigo e abbiamo già iscritto il figlio più grande in una scuola a Dübendorf. A livello hockeistico tutto è ancora aperto, ho ricevuto un paio di offerte dalla lega cadetta, ma non sono remunerative. Non ti permettono di mantenere una famiglia con tre figli. Ormai in Swiss League si guadagna poco. Per quel che concerne la massima divisione, credo che ormai il treno sia partito, a meno che qualche portiere s’infortuni e qualche squadra pensi al sottoscritto”.
Quindi la tua carriera non si può ancora considerare chiusa al 100%?
“Non ancora, ma è difficile pensare a un prosieguo. Mi sto orientando professionalmente nel mondo fiduciario. Frequenterò a partire da agosto una scuola per ottenere il diploma. Sto seguendo le orme del papà insomma, e ora sto cercando un lavoro”.
Avresti ancora avuto un anno di contratto, ma l’Olten in gennaio ha sfruttato la clausola per rescinderlo. Qual è stata la tua reazione alla notizia? Eri sotto choc o te lo aspettavi?
“Avevo detto al club di comunicarmi qualcosa in merito già all’inizio della stagione se possibile. Coach e direttore sportivo mi dissero di non farmi problemi, era tutto a posto per così dire. Poi a dicembre le cose sono cambiate. Penso che il presidente non volesse più investire questi soldi, ci sono stati dei cambiamenti a livello di budget. Alla fine a Olten sono mutate diverse cose in pochi mesi: dall’allenatore, al direttore sportivo sino al CEO. In generale non pensavo ci fossero così tanti problemi, è stata un po’ una sorpresa per tutti. Chiaramente è un peccato averlo saputo solamente in gennaio e non prima. Era già tardi per cercare di trovare qualche altro spiraglio buono, tanti posti erano già occupati”.
Non hai mai vinto nulla, ma sei stato probabilmente il miglior portiere dell’ultimo decennio in Swiss League. Sei fiero del tuo percorso?
“Sì, certo. È stato specialmente bello che anche i miei bimbi abbiamo potuto vivere questi anni di mia attività. Ho trovato inoltre grandi amici. Peccato aver mancato qualche trionfo per poco, ma non tutti possono dire di aver trasformato la loro passione in un lavoro, quindi sono felice”.
Come mai, tranne una piccola tappa a Ginevra tramite licenza B (molto convincente, 13 partite con il 93.5% di parate e 2 shutout), non hai mai avuto una vera chance in NL?
“Diciamo che quando firmai a Kloten era appunto per salire nella massima lega. Se ci fossimo riusciti, sarei riuscito ad avere spazio anche in NL. Nel mio terzo anno di contratto, quello della promozione, arrivò Zurkirchen e io firmai per l’Olten in vista della stagione ventura e da lì le gerarchie erano chiare. Forse con il senno di poi avrei dovuto insistere di più e aspettare. Magari ora le cose sarebbero diverse, ma quando hai una famiglia non puoi permetterti di speculare o attendere troppo nel prendere certe decisioni. Per il resto, eccezion fatta per un’offerta dell’Ajoie, non ho mai avuto contatti seri con società della massima lega. Probabilmente ero troppo costoso in qualità di portiere di riserva, dato che comunque in qualità di titolare in Swiss League ho sempre guadagnato bene”.
In diversi mi hanno detto che hai almeno lo stesso talento di tuo fratello Melvin, ma hai avuto meno ambizione, meno cattiveria. Condividi?
“Sì, credo sia giusta questa analisi. Mio fratello inoltre ha sempre potuto usufruire di un’ottima formazione nelle fila dei GCK, a differenza mia. Melvin è sempre stato più ambizioso di me. Io ho anche messo su presto famiglia, a 25 anni ero già papà, non avevo solamente l’hockey in testa e avevo altri focus. Per me diventare padre e formare una famiglia quando sei in attività hockeistica è stato il momento migliore. Ribadisco, vedere i miei figli assistere alle mie partite è stata la parte più bella della mia carriera. Vedere pure il più piccolo presente all’ultima partita di semifinale è stato un momento magnifico, ho provato una gioia immensa. Anche Melvin comunque ha avuto momenti difficili, ad esempio a Friborgo, quando è caduto in una sorta di buco, prima di ripartire da Rapperswil. Lì è stato davvero bravo a non mollare e alla fine è riuscito a imporsi”.
Avete giocato per ben 3 volte uno contro l’altro nei playoff: due quarti di finale e una semifinale tra il 2016 e il 2018. Spesso durante una serie i giocatori dicono di non avere contatti con gli amici che giocano nella squadra avversaria. E tra fratelli? Vi sentivate durante quelle settimane?
“Praticamente non avevamo contatti. Fortunatamente eravamo già entrambi via da casa, altrimenti sarebbe stato difficile evitarsi. Ognuno si concentrava su se stesso”.
Hai perso tutte e tre le volte. La cosa ti faceva particolarmente arrabbiare dato che appunto era contro tuo fratello, oppure proprio per questo la sconfitta pesava meno?
“Con il Turgovia sapevamo che sarebbe stata dura, già arrivare a Gara 7 fu una sorpresa. Anche con l’Olten era chiara la nostra sorte, era già il grande Rappi di Swiss League. Con l’Ajoie gli rendemmo la vita dura. Sono sempre state delle belle sfide. Chiaro dopo aver perso ero triste, ma non a causa della presenta di Melvin dall’altra parte, semplicemente affranto per il club, la squadra e i tifosi. Una volta eliminato io speravo sempre che mio fratello potesse andare fino in fondo e trionfare”.
18 anni dopo i fratelli Streit, tu e Melvin vi siete affrontati in una partita di NL. Lui nelle fila del Rapperswil e tu nel Ginevra. Avete scritto un pezzo di storia del nostro hockey. È il ricordo più bello della tua carriera, nonostante alla fine uscisti sconfitto?
“Sicuramente è stato uno dei momenti più belli. Più in generale il periodo trascorso a Ginevra fu davvero molto cool, uno dei miei apici, il club mi lasciò pure portare la famiglia con me, furono molto gentili”.
Certo che per i vostri genitori non doveva essere facile seguire le partite quando vi scontravate. Erano per così dire sempre tra il martello e l’incudine. Il papà teneva a Melvin dato che porta il numero 60, suo anno di nascita, e la mamma a te visto che indossi la maglia con il numero 68, suo anno di nascita?
“(Dodo ride ndr) Speravano semplicemente di assistere a un match a reti inviolate. Specialmente la mamma è una grande appassionata di hockey, lei ha sempre seguito i nostri match con immensa passione”.
Siete una famiglia di portieri. Il papà giocava in porta in LNB nel Dübendorf e nel GC, pure la mamma si cimentava tra i pali. Al momento, in attesa di tue certezze, resta tuo fratello a tenere alta la tradizione. Tra 15 anni vedremo tuo figlio in NL?
“Attenzione, guarda che la mamma è ancora in attività, gioca nei veterani (ride ndr). Tornando alla tua domanda spero di sì, si sta già esercitando. Vuole sempre andare in porta. Io gli ho detto di diventare un giocatore di movimento, c’è più spazio ed è pure un bravo attaccante, essere portiere è complicato. Lui però è attratto dall’equipaggiamento, come il sottoscritto ai tempi, e vuole fare quello che fa il papà”.
Per concludere caro Dodo, quali sono i tuoi sogni futuri?
“Non ne ho, il mio sogno lo sto vivendo ora con mia moglie e i nostri bambini, siamo tutti sani. E per l’hockey mi sono messo il cuore in pace, non serve a nulla forzare qualcosa in questo ambito. È stato un bel periodo, ma ora preferisco concentrarmi e mettere l’attenzione su altro, vedremo che accadrà”
Ma ti stai allenando oppure no?
“Sì, cerco di mantenermi in forma, ma lo faccio per me stesso e il mio corpo”.