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Interviste

Gerber: “Abbiamo visto tutti com’è andata per Heim e Müller, voglio un cammino simile”

Il difensore ha lasciato il Berna per cercare una nuova sfida a Rapperswil: “Qui c’è una cultura della prestazione che mi affascina. Mio papà Roland? Ogni tanto in cortile cercavo di fargli gol, ma non segnavo spesso”

(SCRJ)

RAPPERSWIL – Tre partite, due punti. Questo il bilancio fin qui del Rapperswil in CHL. I sangallesi giovedì, nell’esordio casalingo contro i finlandesi del Lukko Rauma, sono usciti sconfitti con il punteggio di 5 a 2. Il difensore Colin Gerber non è contento.

“È stata decisamente la nostra peggiore prestazione di questa campagna, ci sono state delle fasi dove siamo riusciti a mettere pressione all’avversario, ma il primo tempo è stato definitivamente inaccettabile. I motivi? Non eravamo pronti e quindi abbiamo incassato relativamente presto tre reti. Di positivo c’è che comunque non ci siamo lasciati andare, abbiamo lottato sino al 60’ riuscendo anche a realizzare due reti. Ma ribadisco, contro avversari di questo calibro non puoi semplicemente permetterti certe entrate in materia”.

Finora non tutto è andato male, avete creato diverse opportunità, ma la fase difensiva è sinora un problema e le 14 reti incassate nei tre match disputati ne sono la fedele testimonianza…
“Ognuno deve essere pronto, vincere le battaglie uno conto uno, dobbiamo lavorare maggiormente nelle retrovie e assolutamente cercare di uscire più velocemente con il disco dal nostro terzo. Quando riusciamo a installarci in fase offensiva diventiamo pericolosi, questa è la nostra forza e quindi la fase d’impostazione deve essere migliore”.

Come trovi le nuove regole applicate in questa competizione, come ad esempio quella che una rete in powerplay non annulla mai una penalità?
“Questa regola ad esempio ci ha salvato nel corso del primo match giocato in Cechia. Siamo riusciti a rimontare e a girare la sfida. Per gli spettatori è sicuramente interessante, ci sono più pericoli e di conseguenza più reti. Insomma devi proprio disporre di ottimi special team”.

In qualità di difensore quando sei sul ghiaccio questa regola ti frena un pochino, pensando alle conseguenze più pesanti del solito in caso di penalità?
“No, onestamente non ci si pensa. Provi in ogni caso a giocare disciplinato. In fin dei conti anche in National League, con la regola tradizionale, ogni penalità è pericolosa”.

Sei arrivato a Rapperswil da Berna, come ti sei integrato?
“Veramente molto bene, la regione è molto bella, i tifosi sono tutti dietro al club e la squadra e il suo ambiente sono ottimi. È una bella sensazione poter indossare questa maglia e giocare qui”.

A 25 anni, dopo una vita trascorsa in sostanza negli orsi, hai deciso appunto di cambiare aria. Come mai?
“Volevo una nuova sfida, avevo il sentimento che cambiare aria fosse necessario al fine di progredire. Qui a Rapperswil c’è una cultura della prestazione che mi affascina”.

Un po’ quello che hanno fatto in passato due altri bernesi, ovvero Marco Müller e André Heim. La loro crescita ha influito nella tua decisione?
“Lo abbiamo visto tutti, la loro scelta si è rivelata positiva. Dal mio punto di vista dunque non c’era nulla che potesse frenarmi in questa decisione, voglio intraprendere un cammino simile e non rimpiango un solo secondo di aver preso una strada nuova”.

Tuo padre Roland è stato un grande portiere, ha giocato anche per 4 anni ad Ambrì dal 1979 al 1983, ottenendo la promozione nella massima lega e lasciando un gran bel ricordo. Con un babbo del genere non hai mai voluto fare il portiere?
“Onestamente, da quel che mi ricordo, credo che io abbia sempre voluto essere un giocatore di movimento. Nella categoria “piccolo” una volta ci sarebbe stata l’opportunità di andare a difendere la gabbia, ma poi fu il figlio dell’allenatore a ricevere l’armatura. Quindi non se ne fece nulla, non ho mai indossato dei gambali o una maschera in vita mia a differenza di papà”.

Da piccolino giocavate insieme in giardino o nel cortile di casa?
“Sì ogni tanto succedeva, papà andava in porta con un bastone e s’infilava il guanto da presa, io tiravo, ma essendo sempre stato un elemento improntato alla difesa non ho mai segnato tanti gol. Mi divertivo appunto di più a difendere il portiere”.

Che rapporto avete? Ti dà consigli, s’immischia nella tua attività da giocatore?
“Lui è una persona abbastanza riservata e schiva in questo senso, andiamo molto d’accordo, ci capiamo al volo senza bisogno di scambiare molte parole. Ogni tanto sì, mi dà qualche consiglio dall’alto della sua esperienza, ma con il necessario distacco. Apprezzo molto questo suo modo di fare. Inoltre non mi ha mai messo pressione”.

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