LA CHAUX-DE-FONDS – Ha lasciato l’Ambrì Piotta in punta di piedi dalla porta di servizio, ora Damiano Ciaccio è pronto per una nuova ripartenza in quel di Porrentruy. Dopo essere stato in silenzio per mesi, l’estremo difensore ha parlato a viso aperto e in tutta onestà della fine del rapporto con il club leventinese.
Damiano Ciaccio, come stai trascorrendo l’estate, hai ritrovato serenità e tranquillità dopo mesi difficili contraddistinti dall’incertezza?
“Mi alleno duramente al mattino con il mio preparatore personale, mi sono però anche già recato a Porrentruy quattro volte per conoscere il resto del gruppo. Al pomeriggio invece lavoro con mio padre nella sua ditta di pittura, vado pure sui cantieri, in futuro vorrei riprenderla io, vedremo se ne avrò la capacità, nella vita non ricevi nulla gratuitamente. Incertezza? Non direi, la tendenza era chiara a tutti… Specialmente dopo la discussione avuta con il direttore sportivo Paolo Duca si era capito che la mia strada e quella dell’Ambrì si sarebbero divise. In definitiva abbiamo trovato la soluzione ideale, siamo tutti contenti, è la cosa migliore”.
L’impressione è che qualcosa sia cambiato dopo quella famosa sostituzione a Losanna (Ciaccio venne richiamato in panchina dopo pochi minuti quando l’Ambrì era in svantaggio 2-0 senza avere colpe sulle reti incassate, Cereda voleva dare un segnale alla squadra)…
“Ero deluso di come fosse andata quella serata, ne ho vissute tante nella mia carriera, non era certo la prima volta che accadeva, ma stavolta non ero d’accordo con la scelta dell’allenatore. Ne discutemmo apertamente dopo la gara, ancora nella notte. Cereda disse la sua, io la mia. Una discussione tra adulti, ma non c’era animosità. A partire da quel giorno non ho più avuto il mio livello, non ho paura a dirlo, d’altronde si vedeva sul ghiaccio”.
Dopo qualche match in qualità di riserva, complice l’infortunio di Conz disputasti ancora due partite, andarono male e arrivò Juvonen. Cosa provasti?
“Un sentimento di sorpresa. Nessuno m’informò, alla vigilia della sfida contro il Ginevra mi allenai normalmente con Stefan Müller. Il giorno dopo, nel warm-up mattutino prima della partita, arrivai nello spogliatoio e vidi per la prima volta Juvonen. Non ne sapevo nulla. Solitamente, per fare un esempio, se acquisti un nuovo straniero convochi gli altri e in anteprima li informi dell’aumentata concorrenza. Di fronte al fatto compiuto non aveva più senso lamentarsi o discutere a posteriori”.
Le grandi prestazioni del portiere finlandese ovviamente ti hanno tagliato fuori definitivamente, quali sono i tuoi pensieri a bocce ferme?
“Alla fine ho detto a Duca che aveva fatto bene a ingaggiarlo, Juvonen ha giocato molto bene, con lui in porta la squadra ha cambiato mentalità e ha alzato il livello. La gente può tranquillamente dire che il trend negativo precedente fosse colpa mia, accetto le critiche e ho la maturità per incassarle. Duca infine mi confidò di non avermi voluto informare prima a causa dell’imminente tradeline. In sostanza scadeva proprio il giorno della firma, se Juvonen non avesse accettato l’offerta secondo Paolo sarebbe stato ancora peggio per me, avrei dovuto giocare pur sapendo che avrebbero voluto ingaggiare un portiere straniero e che dunque ero una scelta di ripiego”.
In sostanza si può affermare che tu e il club sopracenerino vi siete lasciati bene?
“Esatto, abbiamo trovato subito una soluzione. Siamo tutte persone mature, è fondamentale avere un dialogo, non siamo solo giocatori rispettivamente dirigenti di hockey, siamo umani. Era importante lasciarsi bene e in sintonia. Da parte mia l’unico rimpianto è di aver appunto perso il livello dopo il match di Losanna. La gente per giudicare si basa sulle statistiche, sino a lì la mia percentuale di parate era attorno al 91,5%, era buona, mica all’86% tanto per dire una cifra. Poi appunto, qualcosa si è rotto. Peccato inoltre non aver potuto disputare la Coppa Spengler. Io auguro ogni bene all’Ambrì, ha costruito un nuovo impianto fantastico e merita di avere successo”.
Il tuo futuro sarà dunque con l’Ajoie, come sei arrivato a questa scelta?
“Qualcuno dirà che ho scelto una soluzione comoda e facile, dato che Porrentruy dista solo 45 minuti da La Chaux-de-Fonds, casa mia, ma non è così. Avevo altre opzioni, ma il direttore sportivo Vauclair mi ha immediatamente dato l’impressione di volermi nella sua squadra. Anche lui avrebbe magari potuto cercare uno straniero, come tante altre società, invece mi ha fatto capire di voler puntare su di me, non mi ha contattato semplicemente perché ero libero”.
Che pensi di questa tendenza volta all’ingaggio del portiere straniero?
“Sinceramente a 33 anni è un aspetto che personalmente non mi tocca più, ma se questo trend fosse capitato all’inizio della mia carriera sarebbe stato difficile da accettare. Un giorno Genoni e Berra smetteranno e la loro successione potrebbe diventare un problema. Parcheggiare un giovane nella lega inferiore non è l’ideale, il livello è diverso, più basso. Solo se uno è un fenomeno può funzionare questa via, altrimenti diventa dura. Lo Zugo con Hollenstein è l’esempio da seguire, gioca almeno una quindicina di partite al massimo livello ed è ormai pronto a essere stabilmente un numero uno. Un giovane deve in sostanza giocare nella massima lega per progredire al meglio. È comunque un discorso difficile, più in generale sono decisioni delicate. Se perdi 1-0 con un portiere straniero a difesa della gabbia la gente dirà che ti manca qualcosa davanti. Se tra due o tre anni questa moda di acquistare portieri stranieri finirà e perderai le partite, la gente allora dirà che gli estremi difensori elvetici non hanno il livello per giocare. A mio avviso ha senso prendere uno straniero se ti fa vincere almeno una trentina di partite, altrimenti no”.
Hai ancora un anno di contratto, sarà l’ultimo della tua carriera?
“Lascio tutto aperto, sino a quando una squadra vorrà ingaggiarmi andrò avanti. Non sono però il tipo che va a bussare alle porte di tutti i direttori sportivi a insistere al fine di ricevere un nuovo contratto. A livello fisico sto benissimo, l’unico infortunio serio della mia carriera è stato quello al ginocchio l’anno scorso, in quella circostanza il dottor Regusci mi ha aiutato alla grande, ci tengo a ringraziarlo pubblicamente”.