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Interviste

Camichel: “Non guardo troppo al passato, la paura non fa più parte della mia mentalità”

L’ex attaccante ha avuto una vita difficile, ed ora ha iniziato una nuova attività: “Come mental coach posso portare un valore aggiunto. Essere sportivo al giorno d’oggi non è facile, si rischia di non staccare mai la spina”

Una vita tra dischi e drammi. Nemmeno il più grande sceneggiatore di Hollywood potrebbe scrivere un copione del genere. La storia di Corsin Camichel non può lasciare indifferenti nessuno. Il 42enne nativo di Celerina nella sua vita è stato sovente perseguitato da tragedie, ma ha sempre incredibilmente avuto la forza di rialzarsi. Un esempio per tutti. L’ex giocatore di Ambrì Piotta, Zugo, Berna e Davos ora ha girato pagina. Dopo anni trascorsi ad allenare nelle sezioni giovanili dello Zugo ha iniziato una nuova attività in proprio e ora fa il mental coach.

Corsin Camichel, come mai questa scelta?
“In questi anni da coach mi sono accorto che a livello atletico sono ormai tutti allo stesso alto livello. Lo stesso vale per il discorso inerente alla tecnica. Spesso la differenza la fa la testa, l’aspetto mentale. Sono però ancora pochi gli elementi che lavorano in questo ambito e vi posano l’accento. Mi sono detto che potrebbe essere un valore aggiunto per i giocatori avere maggiormente accesso a questo tipo di risorse e sfruttarle. Questa tematica mi è sempre interessata molto, già quando facevo l’allenatore l’avevo un po’ implementata, ora ho voluto metterla definitivamente in pratica. Ho seguito diverse formazioni e corsi a tal proposito”.

Ci puoi spiegare un po’ i dettagli della tua attività?
“Non è nulla di nuovo in sostanza, cerco di dare ad allenatori e giocatori prospettive, portare le mie esperienze, ma non solo dal mio punto di vista. Cercare soluzioni, trovare il modo di affrontare le sfide quotidiane in maniera migliore e trovare stabilità emotiva. In passato era più semplice, facevi la tua partita, magari leggevi il giornale con il commento e finiva lì, avevi la tua calma. Oggi con i canali social media non puoi praticamente mai staccare la spina, è diventato tutto più difficile da gestire per uno sportivo”.

Ai tuoi tempi da professionista non esistevano queste figure…
“Decisamente no, anzi, se ne parlavi apertamente e cercavi determinati tipi di aiuto venivi preso in giro. In quell’epoca si voleva fare il forte. Si era l’uomo e lo si voleva mostrare. In verità sarebbe già stato utile avere queste risorse e questi aiuti nei tempi andati. Oggi il mondo è fortunatamente più aperto su questi temi, andare a cercare aiuto non viene più visto come una debolezza bensì come una forza. È bello potere sfruttare tutti gli strumenti disponibili al fine di migliorarsi”.

La vita ti ha purtroppo riservato tanti drammi. L’elenco è lungo: il coinvolgimento in un incidente mortale automobilistico nel 2003 (con tra gli altri i compagni Domenichelli e Du Bois) dopo una partita alla Valascia, la perdita di babbo Werner nel 2006 afflitto da cancro (proprio durante il derby dei playoff), il tumore al sistema linfatico diagnosticatoti nel 2011 e la morte di tuo fratello Duri perito in un incidente nel 2015 in Costa Rica. Come hai fatto a metterti alle spalle tutte queste terribili sberle che la vita di ha dato?
“Non ci sono ricette in fin dei conti. Fino ai 30 anni è stato difficile elaborare il tutto. All’inizio non volevo nessun aiuto, volevo farcela da solo ed ero convinto di questo. La mia malattia è stata una sorte di ultimo colpo durante un match di pugilato. Lì ho deciso di farmi aiutare, ho capito che parlando con determinate persone avrei ricevuto un sostegno importante e progredivo nell’elaborare il tutto. Cambiare idee, stili di vita ed essere aperti di spirito può semplificare un cammino”.

Se io fossi a capo di Netflix ti scritturerei subito per una serie incentrata sulla tua vita. Non ti sei mai chiesto perché tutto questo è successo a te?
“Non so se faresti dei grandi incassi con questa idea (Corsin ride ndr.), scherzi a parte me lo sono chiesto un po’ di volte. La risposta? Mi sono detto che alla fine tutto succede per una ragione, non bisogna guardare troppo al passato. Meglio lasciare tutto alle spalle e camminare verso il futuro. Ora sono sposato, ho una magnifica moglie e due splendide bambine. In sostanza l’ho visto come un lungo processo, ed in effetti lo è stato”.

Ogni anno devi fare dei controlli per monitorare la tua situazione e controllare che il cancro non sia tornato. Un po’ come Tormänen. Cosa hai provato quando la triste notizia del ritorno della sua malattia è diventata di pubblico dominio? Per te deve essere stato ancora un sentimento più forte…
“È stata una notizia terribile, mi è dispiaciuto tantissimo. So che non è facile per Antti, non sai mai quello che succede. In un certo senso vuoi avere la forza, l’energia, al fine di cercare di concentrarti su te stesso, ma non è sempre evidente perché il tuo stato, la tua situazione, impatta su molte altre persone in modo duro. Io quando ricevetti la diagnosi ero a terra, ma i medici mi diedero buone chance di poter vincere la battaglia. Cercai dunque di restare positivo, avere l’attitudine giusta e appunto mi sono fatto aiutare”.

Non hai paura che possa accaderti lo stesso, non vivi con questo timore?
“No, la paura è sempre un sentimento sbagliato, non fa più parte del mio mindset. Vivo ora e basta”.

(Twitter)

Un altro momento tragico è stata la morte di tuo fratello Duri, anche lui ex giocatore. Una notizia che aveva scosso l’intero paese…
“Accadde all’improvviso, dal nulla… Mi recai in Costa Rica, facemmo la cremazione e tornai in Svizzera con la sua urna. Anche qui si è trattato di un processo lungo, la ferita non può guarire in pochi giorni. È stato così tanto triste, ma io credo che Duri sia ancora qui in qualche modo o in qualche posto, e forse dall’alto mi protegge. Peccato però sia andata così, sarebbe stato bello se avesse potuto conoscere le sue nipotine, ma cerco di non pensare troppo a questo”.

Finiamo allora da dove avevamo iniziato, la tua nuova attività…
“Mi piacerebbe magari un giorno implementarla in un’intera squadra. Attualmente lavoro già con diversi giocatori. So come ci si trova quando si è magari in un grande club come a Berna da soli in un piccolo appartamento. Tutti si aspettano tante reti e tu non riesci a ingranare e fornire quanto la gente si attende da te. Vi assicuro, non è semplice. Porre domande, ascoltare, parlare e cercare soluzioni aiuta molto”.

Uno dei tuoi clienti è Hofmann, vero?
“Sì, ho conosciuto Greg ad Ambrì. Lui, giovanissimo, muoveva i suoi primi passi in Lega Nazionale, io ero uno dei più vecchi e gli davo quindi già consigli a quei tempi. Ci fu subito un bel rapporto di fiducia tra noi due. Le nostre strade si sono poi nuovamente incrociate a Davos e poi a Zugo. Specialmente durante l’ultimo infortunio che ha patito ci siamo sentiti molto. Ho in sostanza cominciato con lui ed è lui in pratica ad avermi dato l’idea di costruirmi una nuova vita professionale in questo ambito”.

E allora buona fortuna con la nuova sfida caro Corsin, e grazie di cuore per averci dedicato il tuo tempo.

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