RAPPERSWIL – La vita di Claudio Cadonau è decisamente cambiata. L’ormai ex difensore del Langnau ha concluso nella recente primavera la sua carriera e, a partire da maggio, è diventato il direttore sportivo del Rapperswil. Al 37enne abbiamo tastato un po’ il polso dopo i primi mesi di questa nuova avventura professionale.
“Cadi”, da quasi tre mesi ricopri la carica di DS dei Lakers. Ci fai un primo bilancio?
“Logicamente tanto è veramente nuovo per me. È molto interessante vivere il mondo hockeistico dall’altra parte della barricata, per dirla in gergo, e non più in qualità di giocatore come avevo fatto negli ultimi 18 anni. È davvero appassionante. Ho avuto la fortuna poi di arrivare e trovarmi praticamente una squadra già fatta. Non dovevo dunque andare a ingaggiare una mezza dozzina di giocatori. Questo fatto ha giocato a mio favore ed è stato nel mio interesse, così ho potuto concentrarmi e immergermi nella nuova funzione, alla scoperta delle varie sfaccettature”.
C’è qualcosa che ti ha sorpreso particolarmente, oppure l’attività è all’incirca come te l’aspettavi?
“Non c’è nulla che mi abbia estremamente sorpreso. Mi ero già fatto dei pensieri in merito alla posizione di direttore sportivo, quando ero ancora un giocatore. Quando sei nel giro da parecchi anni e invecchi, capisci meglio come funzionano le cose, le esigenze dei club, le varie decisioni e così via dicendo”.
Ci sono altri esempi di persone passate immediatamente da giocatore a direttore sportivo. Su tutti, in Ticino, pensiamo a Duca, anche se poi la costellazione era diversa dato che Paolo è rimasto nello stesso club, a differenza di te. Ti sei fatto dare consigli dai colleghi oppure preferisci non farti influenzare e seguire la tua strada?
“Certamente ho cercato dei consigli, sono abbastanza maturo per ammettere quando ho bisogno di aiuto e capire magari come muoversi in alcune circostanze. Sono stato accolto a braccia aperte dagli altri direttori sportivi. Con loro ho fatto chiamate e discussioni, ad esempio per chiedere come ci si comporta in una determinata situazione. Lo scambio di opinioni e di vedute è aperto ed è molto bello così, è improntato sulla base dell’amicizia. D’altronde diversi DS li conosco benissimo: ti cito ad esempio il mio ex di Langnau, Pascal Müller, Jan Alston con cui ho giocato assieme e Reto Kläy che ho avuto come direttore sportivo a Zugo e a Langenthal. Insomma, gente che conosco da parecchio”.
Hai avuto contatti anche con il tuo predecessore Janick Steinmann?
“Certo, ‘Stoney’ è stato il primo ad avermi chiamato dopo che la notizia era stata resa pubblica. Abbiamo avuto una lunga discussione”.
A Rapperswil hai la fortuna di avere un CEO come Markus Bütler e inoltre, a capo del settore giovanile, c’è Marc Eichmann. Decisamente un grande aiuto…
“Hai proprio ragione. Con Marc sono quotidianamente in contatto, ci scambiamo vedute. Lui ha una grande esperienza sia in veste di allenatore dei portieri che in quella di DS. Aveva ricoperto questo ruolo a Langnau e pure a Langenthal era una sorta di direttore sportivo. È una specie di sparring partner per parlare di idee, strategie e avere uno scambio di opinioni proficuo”.
Mi sembra di capire che tu sia più un teamworker che un one-man-show…
“È chiaro, già da giocatore io ero solo un piccolissimo pezzo di un puzzle. Anche ora, nella mia nuova carica, non agirò in veste di one-man-show. A Rapperswil tutti i singoli elementi devono dare input e il loro contributo per cercare di avere successo. Vale per tutti gli impiegati, poco importa se siano giocatori, membri dello staff tecnico o persone che lavorano dietro le quinte”.

Qual è il tuo principio di base: essere più vicino alla squadra o mantenere una certa distanza?
“Ecco, questo è un aspetto su cui credo debba ancora trovare la giusta via. Credo ci voglia un buon mix. Personalmente, quando ero giocatore, non mi piacevano particolarmente i DS che erano vicinissimi al team, anche se ho sempre capito e compreso che ogni direttore sportivo voglia sempre sapere tutto. Io credo di essere capace di trovare una buona via di mezzo, dare ai giocatori e ai tecnici la libertà necessaria e la fiducia. So però che se qualcosa non va, dovrò intervenire. Fa parte del mio lavoro. Quello che conta è l’onestà e avere il massimo rispetto reciproco. Ci saranno a volte decisioni non belle e non facili da prendere, l’importante sarà farle con la dovuta trasparenza e in maniera aperta. Ripeto, l’onestà è l’essenza di tutto. Ciò vale anche nelle situazioni positive, non solamente in quelle negative. Io ho sempre apprezzato quando un direttore sportivo era onesto nei miei confronti. Questa onestà l’attendo però anche dai giocatori. Per chi avrà problemi, la mia porta sarà sempre aperta”.
Da quando sei arrivato non c’è ancora stato nessun trasferimento. È una tua scelta mirata, vuoi dapprima farti un’idea della squadra prima di entrare in azione?
“No, semplicemente il team era praticamente già al completo al mio arrivo. Disponiamo di sei stranieri e, più in generale, anche il contingente elvetico è abbastanza grande. Non devo forzatamente ingaggiare qualcuno per lanciare un segnale. Certo, se si fosse presentata una grandissima occasione, avrei agito, ma al momento non è stato il caso”.
Prima hai detto che entrare in carica con la squadra già pronta è stato qualcosa di positivo per te. Di base però la percezione esterna è che qualsiasi direttore sportivo voglia ingaggiare il suo allenatore desiderato e qualche suo giocatore pupillo. Non è un peccato iniziare a giochi già fatti?
“No. ‘Peccato’ è decisamente la parola sbagliata. Questa è la situazione attuale. Steinmann e Bütler hanno concluso dei contratti per assicurare il meglio possibile all’intera organizzazione. Io sono molto contento delle operazioni di mercato fatte dal mio predecessore. Inoltre, come già detto, così ho la chance di poter entrare meglio nel ruolo, capire tutte le dinamiche e concentrarmi su altre cose invece che setacciare il mercato in fretta e furia alla ricerca di giocatori da prendere a qualsiasi costo”.
In ogni caso, comunque, il lavoro certo non ti manca a livello di mercato. Alcuni pezzi da novanta sono in scadenza a fine stagione. Pensiamo a Nyffeler, Albrecht, il giovane Taibel e Moy. Se per il portiere, che ormai ha messo le tende a Rapperswil, non dovrebbe rappresentare un grande problema, rinnovare con Moy è una sorta di missione impossibile per te. Senti la pressione dei tifosi?
“Te lo dico con tutta onestà: non sento la pressione, o perlomeno non ancora. Naturalmente ci sono dei nomi che fanno gola a tutti. Parliamo di Taibel, che tu hai citato. Per trattenere Jonas cerchiamo di puntare sul fatto che da noi potrà ricoprire un ruolo importantissimo che magari un altro club ancora non potrà dargli. Con questo tipo di discorso improntato sullo sviluppo e la progressione proviamo a ingolosirlo. Questa è la nostra strategia d’altronde, puntare dapprima al massimo sui giovani che escono dal nostro settore giovanile e poi, nel caso, andarne a prenderne qualcuno anche da qualche altra parte della Svizzera. In passato gente come Egli e Baragano, partendo in sostanza da Rapperswil, è arrivata sino alla Nazionale. Poi è chiaro che a un dato momento questi giocatori partiranno per lidi più importanti. È così, è naturale. Ma per noi queste partenze rappresentano in fin dei conti qualcosa di positivo. I ragazzi più giovani, quelli dietro, vedono la bontà del nostro lavoro grazie a questi trasferimenti e magari sposano la nostra causa proprio grazie ai recenti esempi fatti”.
Con uno di quelli che ho elencato, Albrecht, hai giocato insieme. Non sarà strano sedersi al tavolo con lui per discutere di un rinnovo e negoziare?
“Ho discusso già con tutti, quindi anche con ‘Lenny’. Pure con Nico Dünner ho giocato. Non è strano, anzi, Lenny Albrecht conosce me, sa come sono fatto, e lo stesso vale per me nei suoi confronti. E poi comunque sappiamo tutti dividere il business dal privato”.
Dietro le quinte, tra di noi, ci sono già le battute che se doveste avere problemi in difesa, tu e Yannick Blaser – pure lui fresco di ritiro e nuovo coach della U20 del Rapperswil – potreste dare una mano, portare durezza, agonismo e bloccare tanti tiri. Che ne dici?
(Cadonau ride di gusto per una decina di secondi) “No, non credo sia una buona variante, non è nei nostri piani”.
Ma sul ghiaccio sei ancora andato oppure no?
“Finora non ne ho ancora avuto il tempo, anche perché la squadra si allena a Wollerau, dato che a Rapperswil non c’è ancora il ghiaccio. Nel prossimo futuro sicuramente tornerò a pattinare e a giochicchiare, magari nei seniori o qualcosa del genere. Non mi sono fatto ancora dei pensieri in merito”.
Ti sei lasciato un po’ andare in questi mesi di libertà sportiva, anche magari pensando al cibo?
“Solamente per le prime tre o quattro settimane al termine della stagione ho un po’ mollato la presa. Mi rendo conto che il mio corpo necessita di movimento. Diciotto anni da professionista lasciano tracce, non puoi fermarti di colpo, devi continuare a svolgere delle attività sportive”.
Per finire, un commentino alla tua carriera. Hai vinto tre titoli di National League, tre di Swiss League e pure una Champions Hockey League. Credo che non ti saresti mai sognato un tale palmarès…
“Decisamente no. Se qualcuno, a 15 anni, avesse detto che io avrei anche solo giocato in National League, sarebbe stato deriso e sbeffeggiato. Sono molto contento di quanto ho raggiunto e sono grato di aver potuto vivere dei momenti così belli. Guardo a ritroso con fierezza”.


