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Interviste

Bianchi: “La tensione dei match mi è mancata, ma in carriera ho dato tutto e non ho rimpianti”

L’ex capitano biancoblù ha vissuto l’ultima stagione da commentatore: “Ho apprezzato molto l’esperienza, mi ha permesso di restare nell’ambiente. Ho inoltre trovato una bella realtà ai GDT, ma non so se continuerò a giocare”

Elias Bianchi è stato uno dei volti più familiari e apprezzati dello scorso campionato sui nostri teleschermi. A distanza di 12 mesi dalla conclusione della sua carriera abbiamo incontrato l’ex capitano dell’Ambrì Piotta per parlare di tutto un po’.

Elias, un bilancio di questo tuo primo anno da ex giocatore… È stata dura lasciare i ritmi e le abitudini dopo oltre una dozzina d’anni di professionismo?
“Stranamente non è stata poi così dura, me l’aspettavo peggio anche perché in sostanza non avevo pianificato il mio ritiro così presto. Tutto è arrivato con un leggero anticipo. Il fatto di aver comunque giocato un anno in Prima Lega con i GDT mi ha aiutato, anche se ovviamente parliamo di ritmi e livelli diversi, ma restano impegni fissi. Questo mi ha dato una mano a restare per certi versi nella routine”.

Quanto è stato difficile fare il click, passare da una realtà di professionisti a una come quella dei GDT?
“Ecco, questo non è stato semplice. Ho impiegato un po’ a capire il contesto, comprendere che non si può pretendere chissà cosa né da se stessi né dai compagni. Tutti giocano per la passione, nessuno lo fa per professione. Dopo essere riuscito ad entrare a fondo nella realtà ho apprezzato un bel gruppo davvero sano, dei ragazzi che dedicano il tempo libero alla loro passione senza essere retribuiti. Da questo punto di vista l’ambiente è quasi più bello rispetto a quello del professionismo”.

È stato difficile accettare il fatto di non essere più l’atleta di un tempo?
“Sono sincero, no. Fisicamente due anni orsono, prima dell’operazione, avevo problemi al ginocchio. Non dover andare più ogni giorno in palestra e per certi versi essere più rilassato mi ha fatto bene. Non c’è più l’ossessione di essere al massimo. Certo che quando vedi partite ad alta tensione, con una posta in gioco importante, vorresti farne ancora parte. Questo lato mi è mancato molto. Mi ha aiutato in questo senso essere alla televisione in qualità di opinionista. Non era come giocare, ma mi ha permesso di restare vicino all’ambiente”.

Ti abbiamo appunto visto in qualità di esperto per Teleticino e MySports, sia in studio così come al microfono nel ruolo di co-commentatore, come valuti questa esperienza?
“L’ho apprezzata molto, a me piace specialmente parlare di hockey giocato, commentare la partite. L’hockey è la mia passione e lo rimarrà per sempre. Come dicevo prima, mi permette di restare nell’ambiente. Ho quindi svolto molto volentieri e con tanta passione questa attività. Se continuerò? Se ci sarà l’occasione sì”.

Certo non è evidente o facile criticare giocatori che magari sino a qualche mese prima erano tuoi compagni…
“Decisamente, ma se vai a riguardarti le trasmissioni, non credo di aver mai criticato un ex compagno e nemmeno altri giocatori. Rispondendo a una domanda specifica di un giornalista può esserci magari un filo di critica, ma quello che cerco di fare io è spiegare come mai possano accadere certi errori. So quanto è difficile essere sul ghiaccio, ecco perché cerco di sminuire la critica, spiegare la difficoltà della situazione cercando ovviamente di restare veritiero anche per rispetto nei confronti dello spettatore”.

Nella tua carriera hai disputato oltre 500 partite con l’Ambrì, un numero notevole. Hai fatto il massimo in rapporto alle tue qualità o potevi ambire a qualcosa in più?
“Una domanda difficile… È un po’ come quando si parla di una partita. Subito dopo un match l’analisi è sempre molto critica. “Avrei potuto fare di più, avrei dovuto fare così, agire in un altro modo, avrei dovuto cambiare una decisione”. Più passa il tempo e più la critica diminuisce. Lo stesso vale per una carriera. A volte mi dico, sarebbe bello tornare ad avere 20 anni con l’esperienza e la maturità attuale, forse sarebbe cambiato qualcosa. Ma poi prevale il mio aspetto realista. Avrei potuto fare molto peggio o non fare niente di niente. Ho dato il 100%, sempre, tutto sommato non posso recriminare”.

In tanti hanno detto che forse sei mancato a questo Ambrì, il DS Duca in un’intervista ai colleghi del CdT al termine della stagione in merito alla tua assenza dichiarò che “alla fine i matrimoni si fanno in due”…
“Paolo ha completamente ragione, i matrimoni si fanno in due”.

Restando nell’orbita biancoblù, tra gli allenatori avuti, qual è stato il più importante?
“Senza grandi dubbi Kevin Constantine, per svariati motivi. È stato colui che mi ha davvero dato fiducia e veramente lanciato nella massima lega. Già per questo ha la mia riconoscenza. Ma non solo, hockeisticamente mi ha insegnato molto. Magari a volte era parecchio duro e diretto, forse quasi troppo, ma sapevi dove stavi di casa. Sono cresciuto tanto grazie alla sua guida. L’ho trovato un ottimo coach, forse nel contesto o nel periodo sbagliato. Paradossalmente l’ho apprezzato troppo tardi, all’inizio facevo fatica a capirlo, se l’avessi apprezzato da subito, determinate critiche le avrei prese meglio e sarei forse progredito ulteriormente”.

Il tuo ex compagno che ti impressionato di più?
“Già dirne solo uno è difficilissimo, fammi perlomeno scindere in due categorie. A livello di preparazione, etica e cura dei dettagli dico Michael Fora. Quasi un robot, meticoloso e disciplinato al massimo. Per quello che concerne il talento puro, togliendo gli elementi arrivati durante il lockout e aggiungendo Dominik Kubalik –  per il sottoscritto rientra in questa categoria – dico Pestoni. Inti fa sembrare semplici le cose difficili e riesce a fare giocate che sembrano impossibili”.

Ora dicci il più sottovalutato, o colui che non è mai esploso come ti saresti aspettato…
“Attualmente non saprei dirti nessun nome, ma fino all’anno scorso avrei detto Johnny Kneubuehler. In allenamento si vedeva che aveva una marcia in più e grandi numeri. Spesso non riusciva a portare quella marcia nelle partite, o perlomeno non agli stessi livelli. Nell’ultimo campionato è però riuscito a compiere questo passo e sono veramente contento di questo”.

Se potessi cambiare un regolamento o una formula nel mondo hockeistico svizzero, quale sarebbe?
“Diciamo che la formula dei pre-playoff ci può anche stare, ma non è correttissima. Chi finisce settimo, con magari 20 punti di vantaggio sulla decima, rischia di rimanere fuori dai playoff. Da modificare a mio avviso a lungo termine è il numero degli stranieri, con ben sei si stanno facendo dei danni. Da ultimo il numero delle squadre in National League: la massima lega non ha bisogno per forza di 14 squadre e così facendo si è indebolita una Swiss League che volenti o nolenti aveva un certo fascino, attirava i giovani e disponeva pure di un certo appeal finanziario. Ora ha perso attrattività, le squadre della lega cadetta quindi investono meno, il divario tra le due leghe aumenta e a livello formativo è meno utile rispetto a prima. È importante mantenere una Swiss League attrattiva per i giovani, visto che attualmente faticano a trovare un vero spazio in NL”.

Il tuo consiglio al giovane che vuole diventare professionista?
“Passione e costanza sono i due ingredienti necessari. Il primo ti permette di cominciare e in seguito di mantenere il fuoco acceso. Il secondo è fondamentale per aumentare il tuo livello e arrivare a certi traguardi. Poi ovviamente, quando si arriva in alto, ci vuole la disciplina”.

Tornando al presente, dopo l’esperienza avuta con i GDT continuerai a giocare?
“Non ho ancora preso una decisione definitiva. Voglio dapprima trovare la stabilità professionale e dedicare tempo alla mia famiglia, queste sono le mie priorità. Vedremo dunque se ci sarà ancora spazio per l’hockey giocato”.

A proposito di GDT, si parla molto dei Bellinzona Rockets in Swiss League. Ma ha davvero senso in Ticino continuare con questo progetto?
“Di base a mio avviso un programma formativo ha sempre senso, andare a costruire sui giovani e cercare di creare una bella piramide è sensato. Ma in Ticino ci sono diverse difficoltà. Il territorio è relativamente piccolo, siamo in pochi e logisticamente non è un luogo facile. Non per nulla spesso si sono andate a cercare collaborazioni da fuori. Non entro nei motivi, dato che non li conosco e non posso dunque nemmeno giudicare. Da fuori dico semplicemente che è un peccato che non siano coinvolte entrambe le squadre cantonali. Se non ci si aiuta a vicenda e se non si collabora già all’interno del cantone, il tutto si complica”.

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