LUGANO – In silenzio e proprio alla vigilia di un derby, Geo Mantegazza se n’è andato con la riservatezza che lo ha sempre contraddistinto, nelle vesti sempre di elegante e pragmatico dirigente dell’Hockey Club Lugano.
Nei suoi anni alla testa della società bianconera, o anche quando passò la chiave ad altri, questi aggettivi lo hanno sempre accompagnato facendone una figura carismatica del club: “È sempre stata una sua caratteristica – lo ricorda Sandro Bertaggia – un uomo di poche parole, riservato, ma di grande determinazione, eleganza e signorilità”.
Sandro Bertaggia, quali sono stati i primi pensieri alla notizia della scomparsa di Geo Mantegazza per te che sei stato uno dei giocatori simbolo del suo Grande Lugano?
“C’è incredulità, non ho molte parole da dire perché sicuramente la notizia mi ha un po’ scioccato. C’è grande dispiacere come sempre quando c’è di mezzo la morte, per la persona e i suoi cari, per una perdita come quella di Geo in particolare”.
In questi anni dopo la carriera da giocatore hai ancora avuto qualche incontro con lui?
“Era una persona molto riservata, quindi non è che personalmente avessimo dei “contatti” veri e propri, ma lo si incontrava sempre volentieri a volte in pista quando andava semplicemente a seguire il suo Lugano o in manifestazioni legate ai bianconeri o anche a lui stesso”.
Possiamo dire che come presidente non solo ha cambiato le sorti del club e dell’hockey svizzero, ma ha pure avuto un ruolo nel cambiare le carriere dei giocatori che come te hanno costruito il Grande Lugano degli anni 80?
“Questo senza ombra di dubbio, ha cambiato l’hockey a Lugano e in Svizzera e di conseguenza anche i giocatori che ha voluto per quella squadra. Ma credo che la sua influenza, le sue idee partissero già da più lontano di quegli anni, ossia da quando decise di prendere in mano il club con una visione precisa del da farsi, facendosi affiancare da un fido braccio destro come Fausto Senni. Loro, con l’aiuto anche di Fabio Gaggini trovarono in John Slettvoll la persona giusta per materializzare le idee di un un Lugano dominante e che avrebbe cambiato la scena dell’hockey svizzero, andando a trovare quei giocatori che avrebbero poi costituito quella squadra”.
Rispetto agli altri dirigenti lui guardava molto avanti nel futuro…
“Certo, la sua idea è nata negli anni 70, ma la sua bravura è stata quella di essere sempre determinato nel portarla avanti e soprattutto nel circondarsi nelle persone giuste che potessero aiutarlo nel realizzarla. In questo era assolutamente lungimirante”.
Era un presidente che frequentava lo spogliatoio?
“Lui lasciava quasi totalmente la gestione agli allenatori, perché si fidava delle persone che aveva attorno, soprattutto quando in panchina c’era John Slettvoll. Lui girava attorno, faceva notare la sua presenza sempre in maniera discreta alla squadra, ma quelle poche volte che entrava nello spogliatoio non lo faceva solo per i festeggiamenti dei titoli, ma anche nei momenti difficili e allora lì erano guai (ride, ndr). Il solo varcare la porta dello spogliatoio ci faceva zittire tutti, non urlava mai, ma aveva un carisma naturale, se serviva ci diceva di rimetterci in carreggiata, e allora tutti con le orecchie basse. Gli bastavano poche parole per farsi capire da tutti, e quelle poche incursioni nello spogliatoio erano decisamente significative”.
Da anni ormai alla testa del club c’è Vicky Mantegazza, è molto importante avere ancora una figura di riferimento del genere che dia in un certo senso continuità anche per i tifosi, in modo che possano sempre identificarsi con la società…
“Vicky ha dimostrato di poter fare il presidente autonomamente senza sentire “il peso” del nome e lo fa con la stessa passione di suo papà. Ha le sue idee, ma che collimano spesso con le idee di Geo, quelle di avere un club ambizioso e guidato da gente appassionata, credo che questa continuità sia garantita per molto tempo”.
Hai un ricordo particolare di Geo Mantegazza, un aneddoto o qualche episodio che lo descriva come persona oltre che dirigente?
“La mia memoria fa cilecca pensando a episodi particolari di quei tempi, ma ti dico solo che persone con un’aura e un carisma del tutto naturali come quelle di Geo Mantegazza non se ne incontrano tutti i giorni. E poi la sua praticità, quando ci chiamava nel suo ufficio per discutere di un problema o del prolungamento di un contratto, chiedeva la tua opinione, ti lasciava parlare liberamente, poi diceva la sua in tre parole, una stretta di mano e in cinque minuti la questione era a posto. Questo era lui, poche chiacchiere e dritto alla meta”.