LUGANO – Una stagione tutto sommato positiva, che ha messo le basi per il futuro. Tutti gli addetti ai lavori sono stati abbastanza concordi nel valutare l’annata 2023/24 del Lugano, conclusasi all’atto numero sette dei quarti di finale contro il Friborgo.
Certo, l’ennesimo muro del primo turno dei playoff non può soddisfare appieno, le potenzialità per andare oltre c’erano, soprattutto pensando allo scivolone che ha costretto i bianconeri a uscire dalle prime sei proprio all’ultimo e a doversi scontrare con la seconda classificata, passando pure dal difficilissimo play-in contro l’Ambrì Piotta, anche se in caso contrario non avremmo mai la controprova di come sarebbe andata.
Questa stagione però per l’Hockey Club Lugano doveva sostanzialmente dare due risposte, di cui una di fondamentale importanza. Ovviamente ci riferiamo alla scelta di mandare in sella Luca Gianinazzi, il quale lo scorso anno godeva comunque di uno status diverso vista la situazione d’emergenza, mentre dalla scorsa estate doveva dimostrare di poter progettare e condurre una stagione intera e raggiungere gli obiettivi prefissati.
Per quanto visto globalmente, per le difficoltà anche tremende che il giovane coach ha dovuto superare in mesi terribili, per la capacità di motivare e compattare il gruppo e anche per il gioco espresso dalla sua squadra, possiamo sicuramente affermare che la società ha preso la decisione giusta, non facile sicuramente visti i rischi che comportava in quel momento, una vera scommessa.
La qualità migliore di Gianinazzi è stata quella di mantenere la calma e la lucidità quando a ogni partita vedeva uno o due elementi dover bussare alla porta dell’infermeria, proponendo sempre prestazioni all’altezza e anche oltre le previsioni pure quando a fatica lo staff poteva stendere sul foglio partita una formazione che avesse un senso. Restare attaccati così a lungo al treno delle prime sei e toccare anche il quinto posto è stata una mezza impresa viste le difficoltà, il settimo posto finale ha logicamente deluso sul momento perché arrivato in seguito a tre sconfitte improvvise, ma è innegabile che il Lugano abbia infine occupato una posizione in linea con le attese di inizio campionato, nonostante tutto.
E questo è sicuramente un punto a favore di squadra e staff tecnico, capaci di portare a termine una regular season che sul piano dei risultati è stata finalmente tranquilla, caratterizzata da una partenza un po’ a rilento ma poi rapidamente stabilizzatasi a una media punti importante da fine ottobre via, senza più gravi passaggi a vuoto di più partite, ma con la capacità di reagire sempre rapidamente alle sconfitte e alle serate più storte.
E questa è stata sicuramente l’impronta che maggiormente ha reso riconoscibile il Lugano, quella capacità di reagire alle avversità con forza e pazienza, come fatto poi nei play-in contro l’Ambrì Piotta nell’incredibile 4-4 di Gara 1 e nei quarti contro il Friborgo, quando dopo Gara 2 il peggio sembrava alle porte.
Certo, com’è normale e giusto che sia Luca Gianinazzi ha commesso degli sbagli, ma ha sempre saputo trarne rimedio e soprattutto ha dimostrato – al contrario di molti dei suoi predecessori – di essere in grado di tornare sulle sue decisioni e di non intestardirsi con il solo scopo di portare avanti un’idea, mostrandosi flessibile, umile e intelligente.
È successo quando per la prima volta in stagione ha separato i “tre tenori” della prima linea in un derby alla Gottardo Arena, è successo nelle prime due partite dei playoff con la scelta di Arnaud Montandon (che non solo ha avuto risvolti sul piano tecnico ma avrebbe potuto aprire anche a qualche malumore del gruppo arrivato fin lì) e forse succederà ancora, perché nessuno è immune agli errori, soprattutto quando si è solo all’inizio della propria carriera, ma quel che tranquillizza è la sua capacità di analizzare le situazioni e porvi rimedio.
L’unico grande cruccio, che riguarda comunque tutto lo staff tecnico, rimane quello di non aver saputo trovare una soluzione in tempi rapidi a un powerplay passato dall’essere uno dei migliori della lega in autunno, a di gran lunga il peggiore in inverno, guarda caso in concomitanza con gli infortuni di Markus Granlund e Daniel Carr. Di fatto per alcune settimane il powerplay non solo è diventato quasi nullo, ma addirittura stava per rivelarsi controproducente per la squadra, almeno fino ai playoff con il Friborgo dove si sono visti finalmente dei passi avanti.
Ad ogni modo “Giana” ha messo d’accordo i tifosi, non solo per il suo essere bianconero “doc” – il che in un certo ambiente non guasta certo – ma soprattutto per il risultati e per la coerenza nelle scelte, facendo capire che il potenziale è elevato e i margini di miglioramento ancora molto ampi.
La seconda risposta cui era attesa la società riguarda sostanzialmente la costruzione della squadra in ottica presente e futura, e qui ovviamente entra nel ballo Hnat Domenichelli. Il direttore sportivo bianconero nelle ultime settimane non si è nascosto e ha mostrato trasparenza, dicendosi deluso dall’esito finale contro il Gottéron, mostrandosi anche più “attivo” rispetto a una stagione scorsa in cui sembrava aver subito particolarmente il fallimento dell’idea Chris McSorley.
Il grande successo del mercato di Domenichelli è rappresentato ovviamente da Michael Joly, andato un po’ in ombra a inizio stagione e inizio playoff, confrontatosi con realtà differenti e più competitive, ma in generale uno dei più decisivi e spettacolari attaccanti del campionato, capace di fare quello step in più e di non lasciare che gli eventi lo superassero quando si è reso conto della differenza con il campionato finlandese.
Su Arttu Ruotsalainen andrebbe aperto un ampio discorso a parte, perché sarebbe pretestuoso addossare delle colpe al direttore sportivo dopo quello che il finlandese aveva dimostrato a Kloten, in AHL e in Finlandia. Bisognerà capire, come ha chiarito lo stesso Domenichelli, se dietro i problemi di Ruotsalainen – il quale, va detto, è sempre stato il primo per impegno e dedizione in qualunque contesto venisse utilizzato – ci sia una semplice stagione storta o ci sia di più, perché il Lugano non può permettersi di concedere ancora uno straniero (tra gli altri) alle contendenti, soprattutto se questi doveva essere una delle punte di diamante della squadra.
Il grosso problema invero è rappresentato da Joey LaLeggia, che mai, se non per un paio di partite, ha dimostrato di valere il posto di difensore straniero, nonché fonte di gioco per la squadra e il powerplay. Il fatto è che sin da subito si è capito come la scelta del canadese possa essere stata di ripiego verso altri profili, pensando soprattutto a quanto aveva portato Lukas Klok nella sua breve esperienza luganese, e anche la spiegazione di aver voluto un profilo più offensivo dopo un cambio di idea dello staff durante l’estate suona un po’ stridente.
LaLeggia è apparso subito fuori dimensione per il campionato svizzero, soprattutto a livello difensivo e di personalità, e quando a causa delle assenze è stato schierato in attacco – invero con discreti risultati – si è capito subito che anche lo staff tecnico, aldilà di parole forse di circostanza, lo ritenesse la pedina più sacrificabile, confermandolo poi con la definitiva tribuna da gennaio via, con l’ultima apparizione per l’inutile ultima partita di regular season contro il Rapperswil.
L’impressione è che il suo profilo fosse sbagliato già nelle idee oltre che nella realtà delle cose, ed è bastato vedere come un Matt Tennyson reduce da quasi un anno di inattività, con poche ma semplici cose abbia dato tutto un altro contributo alla difesa, sgravando di molto lavoro anche i vari Mirco Müller, Wolf e Alatalo, portando fisico, esperienza e personalità vera.
E il Lugano non può più permettersi di vedere una sua pedina principale fare un buco nell’acqua già in autunno, facendo pagare un prezzo sia sul piano del rendimento che ovviamente quello della formazione da schierare, arrivando poi alla solita riparazione – o incerottamento – senza aver mai potuto schierare un vero pezzo da novanta in una posizione fondamentale, facendo perdere molto del potenziale a una squadra quindi incompleta. D’altra parte la differenza non l’ha mostrata solo Tennyson nel suo piccolo, ma negli scontri diretti con il Friborgo in particolare l’importanza di giocatori come Ryan Gunderson e Andreas Borgman, sia per costruzione di gioco, resa e personalità sfacciata in senso buono (soprattutto lo svedese) è emersa particolarmente.
Domenichelli d’altro canto ha avuto a che fare con molti lunghi infortuni, dovendo rimediare sul mercato con il citato Tennyson, ma anche con John Quenneville e Mario Kempe, con lo svedese giunto a Lugano dopo un’estenuate tira e molla, invero poco giustificato dal rendimento.
Il canadese, fermo anche lui da tempo, in quel momento sembrava comunque la miglior soluzione disponibile, e il suo scarso rendimento non può essere imputato solo a chi lo ha scelto, mentre su Kempe un paio di domande vanno fatte, non solo per il rendimento che stava avendo anche in Svezia al rientro da un grave infortunio e per lo stato mentale con cui è arrivato, dimostrandosi parecchio fuori ritmo per settimane, prima di trovare un paio di buone ma tardive prestazioni nei playoff.
Certo è che la defezione di Granlund – probabilmente il giocatore di maggior classe e visione di gioco della squadra – ha fatto saltare diversi piani più di tutti gli altri infortuni, togliendo dalla squadra anche una seconda potenziale grande linea (pensando pure a Marco Müller) che potesse portare altri punti importanti dietro la “paradesturm” di Thürkauf, Joly e Carr, guardando anche alla bella stagione vissuta da Arcobello nella sua nuova realtà, e in fondo la mancanza di secondary scoring a fase alterne è stato il problema del Lugano soprattutto nelle partite decisive e nei playoff, e questo andrà compensato migliorando il mercato straniero.
Proprio Markus Granlund non verrà rinnovato dai bianconeri per un cambio di strategia nel caso non certo remoto che Calvin Thürkauf parta di nuovo per il Nord America, ma se da una parte ci sarà la possibilità di ingaggiare uno straniero di movimento in più vista la partenza di Koskinen, questa scelta andrà fatta in maniera più oculata possibile, perché nel caso il Lugano perderebbe due giocatori potenzialmente dominatori del campionato, non solo come dimostrato dal capitano ma anche per le qualità indubbie di Granlund, e andrà fatta una riflessione anche su un aumento della personalità da leader che verrebbe già a mancare senza il numero 97 ma che anche nel migliore dei casi sarebbe quel sale che non farebbe di certo male a questa rosa, anche se in questo senso sono pesate le assenze di Julian Walker e Giovanni Morini.
Sul piano dei giocatori svizzeri, i sostituti dei vari Herburger, Vedova e compagnia, per il momento fanno ben sperare. Non c’è stato un impatto immediato ma la duttilità, la capacità di usare il fisico e la personalità di Matthew Verboon al suo primo anno di National League sono delle qualità che in altri sono mancate in passato, così come l’intelligenza tattica di Lorenzo Canonica, molto più maturo di quanto non dica la sua età ma anche lui confrontato con la prima stagione tra i professionisti, capace comunque di rientrare ottimamente dopo l’infortunio e di fare da perno a un’ottima quarta linea.
Dovrà crescere ancora invece Cole Cormier, molto incostante durante la regular season, ha perso il posto con il rientro di Canonica e quello di Patry, ma se da un lato lo svizzero-canadese ha mostrato ancora di essere acerbo sul piano tattico e fisico, in quanto a visione di gioco e spunti offensivi ha delle qualità su cui occorre lavorare perché il potenziale esiste. Passi avanti per quanto riguarda l’attacco saranno da attendersi per Marco Zanetti, apparso meno in luce rispetto alla prima stagione e spesso un po’ fumoso ma sempre prezioso per la sua velocità, mentre Roberts Cjunskis sarà chiamato a sgomitare per mettere in dubbio le certezze del coach.
Guardando al reparto difensivo, le sicurezze si sono chiamate ovviamente Mirco Müller ma anche Jesper Peltonen, di cui troppi avevano sottovalutato il potenziale dopo che già nel Kloten si era distinto come uno dei migliori difensori del campionato soprattutto per quel che riguarda primo passaggio e uscite dal terzo riuscite. Troppo incostante il rendimento di Santeri Alatalo – ripresosi quale leader nel postseason – e di Calle Andersson, addirittura disastroso prima di Natale. Bernd Wolf ha deciso di continuare la carriera altrove e sarà una perdita di peso per il Lugano, ma l’arrivo di David Aebischer può compensare largamente questa defezione.
Per quel che riguarda i portieri, assodato che l’ingaggio di Mikko Koskinen è stato un errore, si è deciso di tornare alla coppia svizzera con l’ingaggio di Joren Van Pottelberghe da affiancare a Niklas Schlegel, mossa che permetterà di schierare uno straniero di movimento supplementare ogni sera.
Koskinen ha deluso soprattutto per la mancanza di continuità e per certe serate veramente difficili, in cui ha fatto fatica a raggiungere rendimenti almeno accettabili per la National League, raramente e meno della scorsa stagione ha giustificato la sua licenza straniera. Schlegel da par suo, dopo l’infortunio è rientrato in un picco di forma straordinario, giocando cinque partite di playoff contro il Friborgo di altissimo livello, confermando un potenziale frenato nel tempo da qualche infortunio, ma che da anni lo ha fatto considerare da molti quale uno dei portieri più tecnici della lega, nonché tra i più eleganti nelle sue movenze, e di sicuro Van Pottelberghe avrà il suo da fare per guadagnarsi spazio.
Il Lugano deve continuare sulla strada che ha intrapreso la scorsa stagione con quel taglio netto che ha portato Luca Gianinazzi in panchina e una nuova visione del futuro. Nessuno scossone, nessuna ossessione, ma solamente l’obiettivo di migliorare di anno in anno tenendo fede alla propria idea di hockey e di squadra, cercando di mantenere una velocità di crociera regolare in campionato che permetta di restare attaccati alle migliori e di fare un passo avanti ogni volta per inserirsi stavolta nelle prime sei o anche meno del campionato.
Non sarà facile per Hnat Domenichelli operare sul mercato straniero dovendo andare così a fondo e trovare altri due (o tre?) stranieri all’altezza, ma fondamentale sarà non sbagliare il difensore, magari concentrandosi su profili più “sicuri” – Carl Dahlström è una voce in tal senso – senza invenzioni rischiose o cambi di filosofia all’ultimo minuto.
Il Lugano di questi anni può rivelarsi una sfida accattivante su cui lavorare, tanti giocatori mediamente giovani e con poca esperienza soprattutto di postseason hanno avuto il loro battesimo e non potranno che crescere, i movimenti sul mercato straniero regalano un margine di miglioramento molto ampio per una squadra che ha fatto tantissimo in regular season nonostante infortuni e giocatori chiave fuori forma, ecco perché rimodellare questa squadra lascia aperto un potenziale ancora maggiore.
Tanto, tantissimo però girerà attorno alla decisione che prenderà capitan Thürkauf tra primavera ed estate, inutile nascondersi. Con un’eventuale sua partenza per il Nord America andrà ripensata la prima linea più dominante del campionato e potenziate come si deve le altre per compensarne l’impatto, ma siamo sicuri che già una stagione più tranquilla sul fronte infortuni – facciamo scongiuri – sarà molto diversa da gestire, e per quanto ci ha insegnato Luca Gianinazzi, lo stesso coach saprà comunque ricavare il meglio dal materiale a disposizione. L’importante sarà sceglierlo con molta cura.