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Interviste

Atte Mäkinen: “Il mio compagno più forte è stato Barkov, ma ora mi diverto a Küssnacht”

Il finlandese in carriera ha vinto un titolo di Liiga, giocato nella Finlandia U20 e condiviso lo spogliatoio con superstar NHL: “Ora ho altre occupazioni, ma un giorno mi piacerebbe tornare nel mondo dello sport”

ZUGO – Se vi dicessimo che nel campionato di Seconda Lega elvetica milita un 28enne che nella sua bacheca può vantare un titolo finlandese vinto con il Tappara Tampere in qualità di titolare?

Un difensore che ha alle spalle oltre 250 partite nel massimo campionato finlandese e che ha giocato, solo per citarne alcuni, al fianco di superstar dal calibro di Mikko Rantanen, Sebastian Aho e Patrik Laine? Sembra un film di fantascienza, ma invece è la realtà, non è un sogno, non è un’invenzione né tantomeno una barzelletta.

Stiamo parlando di Atte Mäkinen, giocatore del Küssnacht am Rigi. Lo abbiamo incontrato per conoscere la sua storia per certi versi incredibile, una vera chicca.

Atte Mäkinen, partiamo dal presente, come sei finito a giocare nel canton Svitto?
“Mi sono trasferito in Svizzera per via di mia moglie Eveliina, è il portiere dello Zugo femminile. Con lei gioca Lara Stalder, il cui fratello Dario milita appunto nel Küssnacht. Da lì è partito tutto, Lara mi ha messo in contatto con l’allenatore, visto che desideravo continuare a giocare a hockey per puro divertimento”.

In effetti eri reduce da un stop di due anni…
“No, l’ultimo anno ho giocato in quarta lega in Norvegia, ma non appare su Eliteprospects (Atte ride ndr)”.

Hai smesso con il professionismo a nemmeno 26 anni, qual è stata la ragione?
“Erano diverse. Forse non ero così forte come avrei voluto, non ho raggiunto il livello desiderato. Inoltre ho sempre saputo che avrei voluto fare anche altre cose. Ho sempre studiato nella mia vita, fino al bachelor. La mia sensazione mi diceva che era arrivato il momento giusto per terminare la carriera”.

È stato un processo lungo, oppure hai deciso dall’oggi al domani?
“Ovviamente è stata una decisione per così dire a lungo termine. Già da due anni ci stavo ragionando”.

Non hai rimpianti anni dopo questa scelta, magari quando vedi una partita di qualche massimo campionato?
“No, sono contento della mia vita, ho altre occupazioni e ora posso vivere assieme a moglie, dopo anni trascorsi in nazioni diverse a causa delle nostre carriere. E poi appunto, l’hockey non è sparito del tutto, gioco ancora e mi diverto”.

Ma quando giochi con il Küssnacht, non ti capita mai di chiederti “che ci faccio qui a questi livelli”?
“Mai, non in questa maniera. Certo, quando guardo qualche partita di playoff ad alto livello mi capita di pensare che sarebbe bello rivivere quelle emozioni, ma essere un giocatore professionista comporta avere anche molti obblighi… C’è insomma l’altro lato della medaglia. Ripeto, sono felice così”.

I tuoi compagni ti chiedono dei consigli, ti interpellano in merito al tuo passato, oppure il focus è più sulla birretta a fine allenamento?
“A volte si discute del mio passato, cerco di aiutare e di portare la mia esperienza alla squadra, ci si aiuta a vicenda al fine di migliorare. Ma sono e resto un semplice membro dello spogliatoio, come tutti gli altri, ed è ciò che amo”.

Cosa fai adesso professionalmente?
“Lavoro in un’agenzia di collocamento norvegese da 2 anni e mezzo, in sostanza da quando ho lasciato l’hockey. La ditta mi ha dato la possibilità di restare e di lavorare in remoto dalla Svizzera. Sono in sostanza il responsabile dei team dei reclutatori”.

Tua moglie invece è appunto professionista. Vai spesso a vedere le sue partite?
“Quando gioca a Zugo praticamente sempre. Se parliamo di hockey in casa? È chiaramente una grande parte della nostra vita, c’è qualche discussione, ma non come magari si immagina da fuori. Non parliamo di tattiche o partite, prevalentemente sono discorsi legati alla quotidianità”.

Ogni tanto giocate insieme?
“A volte, per divertimento. Per esempio quando abitavamo in Finlandia il giorno di Natale c’era sempre in programma una partita, una vera tradizione. Al termine del match svolgevamo una serie di rigori: lei in porta e io in qualità di tiratore, perdevo sempre”.

Torniamo alla tua carriera. Hai giocato sia ai Mondiali U20 con la Finlandia che con le tue squadre di club con grandissime superstar NHL come Mikko Rantanen, Sebastian Aho, Patrik Laine, Alexander Barkov e Juuse Saros, solo per citarne alcune. Hai ancora contatti con loro?
“Con alcuni sì, poi è chiaro, può succedere che quando le strade si dividano ci si perda un po’ di vista”.

Guardi le loro partite?
“Certo, non sempre, anche a causa del fuso orario, ma li seguo assiduamente”.

Sei fiero di aver giocato con questi mosti sacri?
“Un pochettino, è divertente vedere fin dove sono arrivati e pensare che sino a una manciata di anni fa giocavano con me. Ma in fin dei conti per me restano normali ex compagni di squadra, delle persone insomma”.

Domanda difficile, chi è il più forte con cui hai condiviso lo spogliatoio?
“Ti direi Barkov, anche perché siamo cresciuti giocando assieme dall’età di 5 anni. Il suo approccio verso l’hockey è incredibile, gli ha sempre dedicato tantissime ore al fine di migliorare. Alexander era ogni giorno il primo ad arrivare alla pista e l’ultimo a lasciarla”.

Hai giocato anche con elementi molto conosciuti in Ticino, come Plastino, Lajunen e Hrachovina, e sei stato compagno di tanti stranieri che attualmente militano in NL: Saarela, Ojamäki, Pokka, Honka, Yakovenko e Metsola, tanto per citarne un po’. Hai già incontrato qualcuno di loro da quando sei in Svizzera?
“Non ancora, ma ovviamente mi diverto a seguire le loro gesta. Il campionato svizzero è pieno di grandi giocatori, il livello è molto buono, lo dimostra il Ginevra che ha raggiunto la finale di Champions Hockey League. Un paragone tra la lega elvetica e quella finlandese? Difficile, sono due realtà un po’ diverse. In Finlandia forse c’è una maggiore organizzazione difensiva, in Svizzera c’è invece più pattinaggio, si gioca un hockey veloce, le squadre sono molto attive offensivamente. C’è spettacolo, succede sempre qualcosa”.

Qual è il ricordo più bello della tua carriera?
“Vincere il campionato con il Tappara Tampere è sicuramente in testa alla mia classifica. Trionfare con la squadra della mia città, il club dove sono cresciuto e che seguivo da bambino è stato bellissimo, ha significato molto per me. Ti dirò, più passa il tempo, più apprezzi le vittorie, assumono ancora maggior peso e valore rispetto a quando le conquisti, ci vuole del tempo per rendersene conto”.

A proposito della tua Tampere, negli ultimi anni è diventata una sorta di Capitale dell’hockey europeo, sei sorpreso o te l’aspettavi?
“Tampere è sempre stata una città di hockey, con due buone squadre nel massimo campionato. La prima pista in Finlandia fu costruita proprio a Tampere, insomma c’è tanta storia. Adesso che si è costruita la nuova arena e che Tappara e Ilves sono al top della lega il tutto si è ulteriormente amplificato. Infine i due Mondiali disputati consecutivamente hanno ulteriormente aiutato. Per un amante dell’hockey è davvero un buon momento per vivere a Tampere. Tutto sommato non sono quindi sorpreso”.

Hai citato la nuova Nokia Arena, ma presumo il tuo cuore sia rimasto nella vecchia e gloriosa Jäähalli…
“Beh certo, ho molti più ricordi, sono cresciuto lì, è casa mia”.

Torniamo a te. Vedendoti hai un ancora un fisico da giocatore, se tornassi ad allenarti e a prepararti seriamente, fin dove potresti arrivare? Magari in Swiss League? Sei ancora giovane in fondo…
“Credo che ritrovare la forma non sarebbe un problema (Atte ride ndr), ma poi bisogna tenere conto dell’aspetto mentale, della motivazione e la pazienza. Se non hai queste proprietà non penso che si riesca a tornare a chissà che livelli. Quindi non posso esprimermi, ci sono troppi “se”, inoltre ho smesso da ormai quasi tre anni. Non riesco a crederci che sia già da così tanto tempo, eppure è così e nell’hockey professionistico è un periodo lungo”.

(Christof Theiler)

Ma in questi tre anni non ti è mai balenata nemmeno per qualche giorno l’idea di ricominciare?
“No, davvero, non è mai stata un’opzione”.

Tua moglie come ha reagito quando dicesti basta? Tentò di farti cambiare idea?
“Mi capì immediatamente, non era sorpresa, d’altronde lei era sempre parte integrante durante il mio processo legato alla decisione, inoltre conosce bene le parte critica dell’essere professionista. Mi ha supportato sempre”.

L’anno scorso Eveliina ha giocato in America, mentre tu eri in Norvegia, giusto?
“Esatto, ho vissuto gli ultimi tre anni a Oslo. Ci siamo visti due volte durante l’ultima stagione, io mi recai nel New Jersey una settimana e lei tornò a casa per Natale. È poco, ma per noi era l’abitudine, lei prima giocava in Svezia, io invece militavo in Francia e in Finlandia”.

Quindi sarai felice che il contratto di Eveliina con lo Zugo dura ancora sino al 2025. Come ti trovi in Svizzera?
“È veramente un bel posto per vivere. Amiamo la città di Zugo, ce la godiamo, l’ambiente è splendido. E mia moglie è molto contenta del team, del progetto e dell’ intera organizzazione dell’EVZ”.

E poi il Lago di Garda, che ami molto, non è lontanissimo…
“Ahah, ti sei preparato bene, mi sa che sei andato a curiosare sul mio profilo aziendale. Ci andammo qualche anno fa in vacanza, è un posto che ci piace moltissimo, ma ti dirò, gli scenari e i laghi qui in Svizzera sono forse ancora migliori”.

Già che ci siamo, com’era Rouen, la tua unica meta straniera da professionista?
“Apprezzai molto quei due anni, giocavo in una squadra vincente, sono stati tra gli anni migliori della mia carriera, li ricordo con molto piacere. In Francia l’hockey non è certo lo sport più popolare, ma a Rouen c’è tanto entusiasmo, è una città di hockey. Le partite si svolgevano quasi sempre con il tutto esaurito. Peccato aver perso la finale nel primo anno, mentre nel secondo a causa della pandemia non potemmo purtroppo concludere il campionato”.

Del futuro che ci dici?
“Non ho progetti definiti, ma a un determinato momento mi piacerebbe tornare a lavorare nel mondo dell’hockey o dello sport, magari per un club, ma non ti saprei dire ora come ora in che ruolo”.

E per finire, cosa diresti a un bambino che vuole diventare professionista?
“Se penso a tutti i compagni che ho avuto al mia fianco, quelli che hanno fatto più strada sono coloro che hanno lavorato più duro degli altri. Lo so, è un cliché, ma questo, unito alla passione, è un ingrediente necessario”.

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