Era il 18 febbraio 1998, data del mio 16esimo – sigh – compleanno. I miei genitori, soprattutto su impulso di mia madre, tifosa biancoblù con la quale condividevo una sana quanto a volte spassosa “rivalità” famigliare, mi regalarono il libro di Piergiorgio Giambonini “100 Derby”.
Ero un ragazzino felice, come tanti all’epoca nello sfogliare le foto, le cronache e le statistiche di quelle che invece di sole 100 partite stracantonali sembravano già una grandissima parte di una sfida infinita. E sfogliando quel libro, guardando le foto di Papi Friedrich, di Kent Johansson, della famiglia Celio, dei Genuizzi, dei Bathgate e delle partite giocate sotto copiose nevicate, nessuno, compreso me, avrebbe potuto immaginare quello che successe solo di lì a pochi mesi.
L’inimmaginabile, l’impensabile ma anche l’orgoglio e la paura di vincere o di perdere uno degli eventi più incredibili dello sport svizzero e probabilmente il più passionale dello sport ticinese: ovviamente parlo della “Finale”, scritta in maiuscolo, quella per cui Larry Huras, ai tempi comandante biancoblù e successivamente trionfatore in bianconero – il destino, di nuovo lui – ebbe a definire “Una cosa nostra”, per la quale “Ormai possiamo chiudere il Gottardo!”.
I primi 100 derby furono significativi, dal primo dell’11 dicembre 1964 a quello del 30 settembre 1997, ma ciò che si disputò nella primavera del 1999 fu il giro di boa tra la prima centuria e la seconda che si toccherà sabato 22 novembre alla Resega, e fu l’impensabile, la pura follia e l’apoteosi della rivalità cantonale. Tutti volevano viverla, ma nessuno osava immaginare di perderla. Lo schiaffo per eccellenza, e io, ragazzino tifoso come decine di migliaia di altri sparsi sul territorio cantonale e non, vissi quelle settimane con il solito mal di pancia ininterrotto fino al suo felice – per me almeno, scusate amici biancoblù – epilogo.
Impossibile non immaginare quelle 5 sfide come un picco che ha diviso, proprio alla fine del millennio due ere ben distinte delle squadre ticinesi. L’Ambrì Piotta visse, partendo dagli anni 90’ con le prime partecipazioni a semifinali e finali appunto fino all’inizio del millennio, i suoi anni migliori ai vertici dell’hockey svizzero ed europeo con le conquiste delle Continental Cup e della Supercoppa Europea, prima di entrare in quella lunga “crisi” che ancora oggi riesce a lasciare il segno.
Il Lugano invece aprì ufficialmente il secondo grande ciclo vincente della sua storia, con i 3 titoli svizzeri vinti nel 1999, 2003 e 2006, prima però di tornare non solo tra i ranghi ma a disputare persino due playout, punti più bassi della storia moderna bianconera.
Non si può vivere di soli ricordi, sono il primo ad ammetterlo, ma è evidente come oltre ai trionfi in campionato siano proprio i derby a restare nella mente dei tifosi, così come in quelle di giocatori e allenatori che almeno una volta in vita loro hanno vissuto la sfida ticinese e che tutti hanno ammesso essere unica nel suo genere.
Oggi sia Ambrì Piotta che Lugano tentano con strade diverse e risultati diversi di tornare ai fasti di quei derby che valevano se non il campionato almeno il prestigio dell’alta classifica, ma rivivere quei fasti sarà molto difficile. Il Lugano ha riportato la passione alla Resega, il pubblico ha risposto come meglio non avrebbe potuto fare, e le speranze di rivedere un ciclo vincente si rinfrancano, anche se la concorrenza è di anno in anno più agguerrita e numerosa.
Nonostante le difficoltà, in Leventina si lavora per il futuro, e in una realtà sempre confrontata con problemi finanziari, la pista nuova dovrà essere il fiore all’occhiello di un rilancio sportivo e societario. Ma per il momento si dovranno stringere i denti, anche se la recente partecipazione ai playoff ha ridato speranza e rinsaldato l’amore già granitico dei propri tifosi.
Il mio augurio è che il 200esimo derby possa segnare un nuovo giro di boa come fecero il 100esimo e i subito seguenti, perché il Ticino hockeystico, sia singolarmente che con i derby, ha segnato la storia svizzera di questo sport, è diventato leggenda anche fuori dai confini elvetici, e diciamocelo, fa invidia a molte città e cantoni non solo d’oltre Gottardo.
La cifra “200”, che era così lontana e ora è quasi incredibile, incute rispetto, racconta la storia, riporta alla mente tutti i suoi protagonisti, che per i tifosi di ogni generazione sono stati idoli o “nemici”, ma soprattutto ci fa sentire così piccoli tanto da tornare ragazzini. E allora sentiamoci fortunati per questo derby e viviamolo come allora, come quei ragazzini che alla fine degli anni ‘90 soffrivano di un gran mal di pancia.