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Si è conclusa con una giusta sconfitta nel secondo turno dei playoff contro i Boston Bruins la stagione dei New York Rangers, iniziata con grandi aspettative – seppur ridimensionate dalla scomoda stagione accorciata dovuta al lockout – e terminata con l’amara consapevolezza di non essere mai realmente stati dei candidati alla Stanley Cup. Anzi, i passi indietro in questo senso rispetto ad un anno fa sono evidenti.
Nel momento in cui la stagione termina così, da un momento all’altro, le sensazioni non sono mai le migliori, soprattutto perchè a livello personale e “nostrano” nel momento in cui l’Ambrì Piotta può finalmente andare in vacanza, solitamente ci si ritrova a festeggiare. C’è sempre un attimo di tristezza e smarrimento, invece, quando si vede la “propria” squadra NHL prendere definitivamente la via degli spogliatoi.
“Beh dai, 29 squadre su 30 anno ogni sperimentano questa sensazione”, ti dicono. Alla fine, però, la sensazione di vuoto rimane. A differenza dello scorso anno, quando l’eliminazione nella finale di Conference per mano dei New Jersey Devils aveva fatto parecchio male, quest’anno mi piacerebbe tirare le somme di questa stagione 2013 dei New York Rangers, caratterizzata da un percorso di 60 partite tra alti e bassi.
Iniziamo con un po’ di positività. Nonostante per molti appassionati i Rangers di quest’anno si possano bollare come una delusione, c’è da notare che si è comunque stati una delle ultime sette squadre in corsa per la Stanley. Se questo significa avere una stagione fallimentare, considerati i tanti infortuni e le mille difficoltà a livello di gioco, beh… Allora manca davvero poco per arrivare almeno alla finale, no? Insomma, le Blueshirts non avranno vinto la coppa, ma prima di arrivare a New York le critiche di tutti dovrebbero fare almeno altre 23 fermate.
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In relazione alle aspettative accumulate nel corso della scorsa estate, bisogna ricordare che quella squadra che si pensava potesse dominare il campionato è ben diversa da quella arrivata a giocarsi gara 5 a Boston sabato sera. La “superlinea” che doveva permettere ai Rangers di risolvere buona parte dei suoi problemi offensivi di fatto non è mai esistita, con Marian Gaborik acciaccato e poi scambiato alla deadline, Brad Richards irriconoscibile e che rischia il buyout, e con Rick Nash che ha impiegato diverse settimane prima di ingranare.
Il GM Glen Sather ha dunque dovuto a sistemare una squadra in corsa che però, di fatto, si è ritrovata essere molto più giovane rispetto ad un anno fa e con molta esperienza in meno nei playoff. Giocatori come Derick Brassard, Derek Dorsett, Mats Zuccarello e Rick Nash avevano un’esperienza nel post season quasi pari a zero, mentre altri elementi come Michael Del Zotto, Carl Hagelin, Derek Stepan, Ryan McDonagh, Anton Stralman, Chris Kreider e Brian Boyle hanno continuato un processo di crescita che però non li vede ancora maturi al 100%.
Poco male, dunque, dato che il nucleo di questa squadra avrà diverse altre occasioni per cercare di alzare al cielo la coppa di Lord Stanley. Il vero problema risiede invece nel miglior giocatore dei New York Rangers, il portiere Henrik Lundqvist, assolutamente strepitoso e nei cui confronti ci si sente davvero frustrati. Lo svedese meriterebbe infatti di vincere il titolo da diversi anni a questa parte, ma davanti a lui qualcosa sembra sempre mancare, ed ecco dunque che le sue incredibili prestazioni non possono sempre bastare.
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C’è stato inoltre un fattore infortuni non da sottovalutare e, anche se non può essere utilizzato come scusa, vale indubbiamente la pena di spendere alcune parole in questo senso. I Boston Bruins hanno reso evidente quanto i Rangers non siano stati una squadra con una rosa sufficientemente ampia per contrastarli. Come ben puntualizzato da Tortorella, a New York sono mancati terribilmente Ryan Clowe (il “nostro Lucic”) e Marc Staal (il “nostro Chara), elementi che avrebbero potuto indubbiamente elevare il gioco dei Rangers. Si sospetta invece che altri giocatori, tra cui Nash, Girardi e Callahan, siano scesi in pista nonostante acciacchi importanti, così come aveva fatto Marian Gaborik lo scorso anno.
Questo mi porta a concludere questo piccolo punto della situazione con alcune valutazioni sul mercato dei Rangers che, nonostante tutto, credo sia stato condotto in maniera condivisibile. Tutti gli occhi naturalmente erano puntati sul trade che ha portato Rick Nash a New York, operazione che aveva visto partire Brandon Dubinsky, Artem Anisimov e Tim Erixon. Con il senno di poi non credo che questo trade abbia danneggiato i Rangers in alcun modo, considerando anche il recente arrivo del talentuoso Brassard.
Il reale problema è invece stato l’addio di Brandon Prust, che era in grado di portare una carica agonistica che spesso quest’anno è mancata. Il suo sostituto naturale sarebbe dovuto essere Arron Asham, il più delle volte ridicolo sul ghiaccio. L’arrivo nell’ambito del “Gaborik Trade” di Derek Dorsett potrebbe aver in parte risolto questo problema, ma ci sarà bisogno di almeno una ventina di partite nella prossima stagione per dirlo.
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Improponibile invece aver ingaggiato Roman Hamrlik dai waivers, difensore oramai finito e che, quando chiamato in causa a giocare sul serio, ha messo in evidenza tutti i suoi limiti. A quel punto si sarebbe potuto utilizzare Gilroy, la differenza probabilmente non si sarebbe vista. In difesa a ridosso della deadline è però arrivato il giovane John Moore che, date le premesse, potrebbe rivelarsi uno dei migliori affari degli ultimi anni. Si vedrà.
Cercando di tirare le somme la delusione rimane, ma viene velocemente rimpiazzata dalla consapevolezza che questa squadra, in queste condizioni, avrebbe potuto fare ben poco di più. I Rangers hanno probabilmente il miglior portiere al mondo, una solida difesa, ed un “core” di leader in attacco pronti a dare tutto per questa maglia. Durante l’estate bisognerà però dare qualcosa di più a John Tortorella sul fronte offensivo.
Per quel che riguarda il coach, beh, credo che il buon Torts debba rimanere al suo posto e continuare a lavorare anche per il suo ultimo anno di contratto, poi si tireranno le somme. L’uomo che davvero va messo alla porta è invece un altro: Mike Sullivan, dal 2009 incapace di dare un senso ad un powerplay dei Rangers.