
LUGANO – Tempo di abbuffate, festeggiamenti e auguri, ma tempo anche delle classiche retrospettive dell’anno che è stato. Per quanto riguarda l’Hockey Club Lugano, nello specifico i suoi tifosi, di sicuro in queste feste natalizie e di fine anno, panettoni, fondue e tutto quello che gira intorno alle tavole imbandite è stato digerito con ben altra leggerezza rispetto ai dolori di stomaco patiti un anno fa e scaturiti nella lavanda gastrica che ha spazzato via tutto in primavera.
Un anno, il 2025 bianconero, che è passato da un estremo all’altro, con una coda iniziata a dire il vero qualche mese prima nel 2024 e i primi segnali inequivocabili di mala digestione con il picco proprio durante le feste.
Il fine pasto però lo si è consumato a inizio gennaio, con il sollevamento dal proprio incarico di tutto lo staff tecnico, da Luca Gianinazzi e i suoi assistenti e il direttore sportivo Hnat Domenichelli. Un inizio anno contraddistinto da uno scossone che è parso ormai inevitabile e addirittura tardivo, visto quanto successo già in autunno con segnali ben visibili rimasti inascoltati, come il classico cervo bloccato in mezzo alla strada mentre fissa i fari delle auto in arrivo.
Gennaio è stato quindi caratterizzato dal distacco verso colui che la società credeva fosse il prescelto – e chissà che con altro agire non potesse esserlo ancora – per piazzare sulla panchina Uwe “King Kong” Krupp, eroe della Stanley Cup di Colorado nel 1996. Il tedesco molto non poteva fare, una classica scossetta c’è stata inizialmente, ma tra il fatto di non essere preparato alla realtà, trovandosi completamente da solo con assistenti “imposti”, e tanto erano radicati i problemi del Lugano che alla fine l’inevitabile si è parato sulla strada dei bianconeri, quel vergognoso playout vinto a fatica contro l’Ajoie dopo essere stati a meno di due minuti da un clamoroso 0-3 nella serie e virtualmente a una partita dalla sfida contro il Visp, evitati grazie a quei due gollonzi di Zohorna e Morini, quasi un segno mistico in un tragico e grottesco contesto di rassegnazione, tristezza e incredulità.

A mali estremi, estremi rimedi, il neo assunto GM Janick Steinmann ha capito che a Lugano era necessaria una rivoluzione, non solo in termini di giocatori e staff tecnico ma anche di mentalità – “Alcuni giocatori che dovevano essere dei leader sono scomparsi in un contesto poverissimo come quello dei playout” – dovendo oltretutto rimettere in sesto uno spogliatoio ridottosi all’anarchia, senza più coesione e un’intera società priva di una figura di riferimento che neppure Hnat Domenichelli ha saputo essere.
Aldilà del successo o meno del mercato straniero – alcuni ingaggi sono sicuramente perlomeno rivedibili – è chiaro come Steinmann non sia di certo entrato in punta di piedi alla Cornèr Arena, doveva far capire che la figura di riferimento per la divisione sportiva del club era lui e nessun altro, e conoscendone il carattere avrà sicuramente messo sul tavolo quale condizione sine qua non l’assenza totale di ingerenze e invasioni nel suo territorio.
Ha voluto portare più carattere, leadership, lavoro di team building per ricostruire uno spogliatoio a pezzi – e quando si dice a pezzi forse ancora oggi non tutti sono a conoscenza di quanto fosse grave la situazione – ma soprattutto uno staff capace non solo sul piano tecnico e tattico ma pure su quello psicologico, perché i giocatori da recuperare individualmente erano decisamente troppi.

Il fiore all’occhiello della rivoluzione imbastita da Steinmann è rappresentato sicuramente dalla coppia formata da Tomas Mitell e Stefan Hedlund, il primo uno dei coach più interessanti e seguiti in Europa nelle ultime due-tre annate – andato vicinissimo agli ZSC Lions – il secondo un maestro di tattica che molte squadre avrebbero messo volentieri sulla loro panchina come head coach, senza poi dimenticare il ruolo di Antti Ore nel recuperare Niklas Schlegel ma soprattutto quel Joren Van Pottelberghe che sembrava perduto.
Tutti hanno predicato pazienza e comprensione della situazione, una squadra ridotta in quella maniera non si rappezza in poco tempo, ma per molti sembravano le solite parole per guadagnare tempo quando le cose non funzionano. Tanti tifosi, addetti ai lavori e anche soprattutto dirigenza del club a settembre-ottobre, quando la squadra non riusciva a vincere nonostante le buone impressioni, hanno forse finalmente capito che la ricostruzione di una squadra non passa per giorni o settimane, ma a volte mesi se non anni, e chi metteva già in dubbio la permanenza di Mitell alla Cornèr Arena, con buona pace ha dovuto mettersi in testa che l’ennesimo cambiamento sarebbe stato un altro inutile e controproducente passo indietro in una retromarcia senza fine.
La dimostrazione che l’attesa sarebbe stata pagante è arrivata dirompente, con quella risalita dalle zone di vacanza anticipata alla quarta posizione di questo fine anno, figlia di alcune strisce vincenti a dir poco impressionanti per qualità espressa e sicurezza nei propri mezzi. Una sicurezza che è diretta conseguenza non solo del sistema applicato, ma anche del recupero di quei giocatori che solo a primavera non avevano più un ruolo o la certezza di un posto nel line up, da Aebischer, Dahlström, Müller fino a un Aleksi Peltonen messo alla porta dalla direzione precedente e ripreso con ancora le valigie appresso.
Il Lugano costruito fino ad oggi è andato per stadi, dalla ricostruzione di un gruppo sano e con dei valori, passando dalla difesa – oggi la seconda migliore del campionato dietro di un gol rispetto a quella degli ZSC Lions – per poi arrivare anche a “stappare” un attacco che inizialmente faticava anche solo a creare delle occasioni.

Il Lugano è una squadra che aldilà di Zach Sanford, probabilmente il centro two way più forte del campionato, Thürkauf, Fazzini, Müller nei rispettivi ruoli, non ha top player in quantità come Losanna, Zugo, ZSC, Davos e Ginevra, ma è una squadra che Mitell e Hedlund hanno costruito sull’equilibrio e sul collettivo, due fattori che spesso sormontano le differenze di talento individuali e che caratterizzano le squadre più difficili da affrontare.
Il Lugano al momento è questo, un gruppo durissimo da affrontare e da leggere tatticamente, che non regala punti di riferimento e vuoti difensivi in cui fiondarsi, e che soprattutto gioca con straordinaria equità di tempo e qualità con quattro blocchi, potendosi addirittura permettere – per il momento, più in là sarà argomento assolutamente da trattare – che alcuni stranieri al momento non stiano rendendo come auspicato, su tutti Sekac e in parte Sgarbossa e Carrick (in attesa del rientro di Perlini) ancora troppo incostanti.
Più di alcuni stranieri il quarto blocco è uno dei punti di forza migliori della squadra, capace di reggere con qualità tanto tempo di ghiaccio contro le migliori linee avversarie e di distinguersi pure come linea capace di colpire in qualsiasi momento come dimostrato dalle cifre. Dagli attaccanti che hanno messo più ghiaccio nel quarto blocco (Morini, Aleksi Peltonen e Marco Zanetti, solo in parte Tanner) sono arrivate 10 reti con un bilancio complessivo di +13 (non sono calcolate le reti dei difensori) con due game winning goal di Zanetti e uno di Aleksi Peltonen, quest’ultimo andato a segno anche a porta vuota in un’occasione.
E quando una squadra ha un sistema difensivo funzionante, equilibrio tra i blocchi e giocatori che seguono alla lettera lo staff tecnico il risultato è la qualità, e al momento il Lugano è probabilmente la squadra di National League che meglio unisce la qualità di un gioco collettivo accattivante ai risultati positivi, riuscendo quando è necessario e senza vergogna a trasformarsi in una realtà più operaia e ruvida. Questo non significa che quella bianconera è la squadra più forte del campionato e improvvisamente è diventata una candidata ferrea al titolo, ma è una squadra che sfrutta come meglio non potrebbe il proprio potenziale, anche di quei giocatori considerati ormai fuori dalla rosa, che vuole valorizzare i giovani (Henry) e che lascia impressioni importanti e positive a quelli che cercano una squadra in cui lanciarsi (Olsson), infilandosi in una nicchia di mercato dalla quale era stato tagliato fuori.
Ora quello che attende nel 2026 la squadra bianconera è un test di quelli tosti, tre partite a settimana nel mese di gennaio con otto trasferte, e se Fazzini e compagni riusciranno a mantenere un ruolino di marcia costante tanto da mantenere il posto nel top-6 del campionato, allora avremo la conferma che questa squadra – con tre quarti della rosa uguali allo scorso campionato – il potenziale ce l’aveva veramente, quando invece si volevano giustificare certi risultati tremendi solamente con un livello scarso del materiale umano a disposizione.

Giocatori come Aebischer e Aleksi Peltonen stanno facendo vedere che nel giusto contesto e nel giusto ruolo possono davvero essere quelle pedine importanti su cui qualcuno aveva riposto fiducia, altri come Canonica hanno fatto il passo avanti per dimostrare di essere giocatori importanti sul ghiaccio e fuori, e di uno che stava pensando al ritiro quale Ramon Tanner ci si chiede come potesse essere arrivato a quel bivio, pur non essendo un campione ma un giocatore di intelligenza e duttilità veramente notevoli.
In dodici mesi il Lugano è passato da un estremo all’altro, arrivando a una posizione in classifica e a mostrare un qualità di gioco impensabili anche solo a settembre, riportando entusiasmo alla Cornèr Arena come non si vedeva da tempo, tanto che l’ultima sfida giocata in casa contro l’Ajoie davanti a 6’000 e rotti spettatori sembrava cadere paradossalmente – visto l’avversario – in un caldo clima da playoff, segnale che il lavoro serio ripaga anche con la fiducia e la felicità dei propri tifosi.
Tutto questo come può essere avvenuto? Grazie a una visione finalmente attuale e proponibile sia della gestione tecnica che dei ruoli, la fiducia in Steinmann senza alcuna interferenza, con una comunicazione verso l’esterno dal club finalmente lucida, puntuale e trasparente, e grazie al lavoro dello staff tecnico. Sono tutti fattori che devono collegarsi all’altro e che non devono mai venire a mancare, perché nella catena di montaggio un solo bullone allentato può fare crollare tutto in un attimo, ma se il Lugano ha trovato la formula giusta per trovare stabilità e forza, allora sembrerebbe che siamo di fronte a una rinascita finalmente seria e strutturata, con la conferma che la squadra bianconera e il suo staff tecnico stanno facendo parlare anche la stampa di oltre Gottardo, stavolta con ammirazione e non più con indifferenza.
Segni questi che il club di Vicky Mantegazza sta ritrovando il suo ruolo e credibilità all’interno di una National League che l’aveva ormai marchiato come irrecuperabile, e che oggi invece (dopo svariati tentativi) si sta ergendo addirittura quale esempio di rinascita e coerenza per altre realtà che cercano di fare lo stesso percorso.
Il Lugano, chi l’avrebbe mai detto?


