
LUGANO – AMBRÌ
5-1
(1-1, 3-0, 1-0)

Reti: 01’53 Bürgler (Manix Landry, Heed) 0-1, 08’36 Canonica (Sanford, Dahlström) 1-1, 26’10 Emanuelsson (Sgarbossa, Marco Zanetti) 2-1, 37’48 Fazzini (Sanford, Canonica) 3-1, 38’11 Müller (Zanetti, Thürkauf) 4-1, 53’04 Sanford (Carrick, Zanetti) 5-1
Note: Cornèr Arena, 6’733 spettatori
Arbitri: Tscherrig, Ströbel; Schlegel, Obwegeser
Penalità: Lugano 7×2 + 1×5 + 1×20, Ambrì 2×2 + 1×5 + 1×20
Assenti Lugano: Rasmus Kupari, Alessio Bertaggia, Brendan Perlini (infortunati), Dario Simion (squalificato)
Assenti Ambrì: Isacco Dotti, André Heim (infortunati), Chris Tierney (sovrannumero)
LUGANO – A differenza dei due derby precedenti, in questo di metà regular season di storia ce n’è stata poca. Ce n’è stata perlomeno fino a circa metà incontro, fino a quando il lavoro ai fianchi da parte del Lugano e la sua solidità non sono riusciti a scardinare un Ambrì Piotta che da lì in poi si è sfaldato mettendo in mostra tutti i suoi limiti.
E che dire dei segni del destino? Il game winning goal lo ha messo a segno l’ultimo arrivato in casa bianconera, lo svedese Einar Emanuelsson – autore di due assist stagionali con la maglia del Lulea – copiando quello che fece un altro svedese, un certo Fredrik Pettersson, il 18 novembre 2013 alla Valascia nel suo esordio con il Lugano, ovvero mettere a segno il gol decisivo nel derby alla prima uscita ufficiale.

Aldilà delle coincidenze utili agli almanacchi, bisogna dire che ben pochi derby nelle ultime stagioni hanno messo così in evidenza la differenza tra le due squadre, sia per come si sono presentate al primo ingaggio, sia per come si sono poi conformate alla partita. Il Lugano ha giocoforza puntato sull’esordio del citato Emanuelsson, schierato inizialmente con Thürkauf e Sekac, dovendo anche rinunciare allo squalificato Simion, mentre l’Ambrì Piotta nella sua incertezza legata al pacchetto stranieri ha scelto Cajkovsky al posto di Tierney per un’impostazione volutamente più difensiva.
La mossa di Landry però non ha dato i frutti sperati, aldilà di una prima mezz’ora discreta e portata avanti cercando di tenere il Lugano fuori dallo slot dopo aver subito il pareggio al gol di Bürgler, a un certo punto è saltato il banco. Senn si è mostrato fragile sul gol di Emanuelsson, il Lugano ha trovato il modo di saltare la fragile impostazione a centro pista e i difensori sono andati in improvviso affanno.
Proprio lo slovacco ha dato prova di tutte le sue difficoltà di ritmo e capacità di reggere i cambi, giocando una partita a tratti improponibile per posizionamenti e marcature scivolate via come nulla fosse ed è pure venuta a galla la scollatura tra reparti che ha reso i leventinesi una squadra troppo sfilacciata.

E pensare che quando Sekac ha tolto i guantoni per andare alla rissa con Zaccheo Dotti, si è pensato che sulla conseguente penalità di partita inflitta ad entrambi il Lugano ci avrebbe logicamente perso, invece, dopo aver resistito una prima volta in box play per quattro minuti, i bianconeri si sono ricompattati, mentre quei secondi di emozioni hanno messo a terra gli ospiti.
Il veloce uno-due con cui Fazzini e Müller hanno portato sul 4-1 la squadra di Mitell ha di fatto chiuso la sfida, da lì in poi – nonostante altre penalità da purgare – i bianconeri hanno gestito in maniera agevole l’incontro.
Troppo solido e continuo questo Lugano per l’Ambrì Piotta, la regolarità di gioco e intensità di cambio in cambio e con quattro linee – seppure risicate – hanno scoperto i limiti di un Ambrì discontinuo, capace di qualche fiammata con azioni improvvise e individuali, ma mai in grado di prendersi i propri momenti come fatto dai padroni di casa.
In fondo il Lugano ha messo in pista le sue qualità, difesa e box play solidissimi, intensità di gioco continua e individualità più forti (da Sanford, Fazzini, Canonica, Carrick e Dahlström differenze evidenti con i corrispettivi sull’altro fronte) contro i soli Joly e DiDomenico a provarci ma sempre con tentativi senza alcuna scia, e l’immagine è anche quella di un Formenton che sbaglia l’ennesima grossa occasione davanti a Schlegel, altro elemento che ha vinto la sfida interna contro Senn.

Questo derby ha confermato le qualità del Lugano, inscalfibile anche in formazione quasi d’emergenza e con pezzi persi durante il match, e queste qualità hanno scoperto le fragilità di una squadra, quella biancoblù, poco strutturata.
Pestoni e compagni sono in grado di fornire buone prestazioni, ma quando si trovano di fronte squadre che fanno del controllo del gioco e dell’intensità nei cambi la loro arma, allora rischiano di crollare rapidamente. La differenza la si vede anche nella linea dei centri, quella del Lugano solidissima e di alto livello, quella leventinese debole e incapace di tenere in piedi l’impianto quando si tratta di alzare il ritmo del gioco e di sostenere cambi sotto pressione, e se quello che doveva essere il primo centro designato è in tribuna – condivisibile o meno – significa che la spina dorsale va rivista completamente.
Ultimo fattore ma non di certo in ordine di importanza e quello che ci ha mostrato il gioco difensivo delle due squadre, con un Lugano solidissimo e sempre tranquillo nella gestione del terzo e un Ambrì “capace” per l’ennesima volta di uscire con cinque reti sul groppone. Portieri o no, nelle quindici partite giocate con Landry e Matte in panchina, i biancoblù viaggiano alla media ben poco edificante di 3,7 reti a partita, un dato improponibile sul lungo periodo per una squadra che punta anche al decimo posto e che al momento ha incassato ben 94 reti contro le 58 del Lugano.

È stato un derby che per una volta ha lasciato da parte le incertezze e le classiche “riequilibrature”, perché stavolta ha fatto da vera cartina di tornasole. Ha detto che il Lugano è una squadra lanciata e che si lascia alle spalle le difficoltà con rapidità e facilità disarmanti, mentre sul fronte leventinese ha scoperto dei limiti che alcune partite avevano solo nascosto sotto il tappeto – lo abbiamo sempre detto, tutti in National League sanno fare la prestazione qua e là, basti guardare l’Ajoie – ma che alla lunga rischiano di diventare una tendenza molto pericolosa se non verranno risolte rapidamente, e gli ultimi tentativi di correzione in corsa non fanno presagire grande ottimismo.
E invece a Lugano si dorme tra due guanciali.
IL PROTAGONISTA

Zach Sanford: Il centro del Lugano ha mostrato individualmente qual è la differenza attuale tra Lugano e Ambrì Piotta. Leadership, forza, solidità e giocate di classe, con una partita segnata da un gol e due assist. Il topscorer bianconero incarna alla perfezione l’identità della squadra di Mitell: umiltà, lavoro e dedizione al servizio dei compagni.
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