
LUGANO – DAVOS
0-3
(0-1, 0-0, 0-3)

Reti: 00’17 Corvi (Lemieux, Stransky) 0-1, 42’47 Stransky (Frick, Corvi) 0-2, 59’00 Stransky (Corvi) 0-3
Note: Cornèr Arena, 5’696 spettatori
Arbitri: Lemelin, Piechaczek; Cattaneo, Bachelut
Penalità: Lugano 1×2 + 1×5 + 1×20, Davos 4×2
Assenti: Nick Meile (sovrannumero), Rasmus Kupari, Mike Sgarbossa, Alessio Bertaggia (infortunati)
LUGANO – La peggiore versione del Lugano è rappresentata dalla sua migliore. È un paradosso, ma lo è anche questo Lugano, capace di entrare in pista al primo cambio piazzato da incubo con la testa ancora fuori dalla Cornèr Arena – tanto da far uscire un’arrabbiatura in panchina a un Mitell come mai lo avevamo visto – per poi dominare per trenta minuti abbondanti la prima in classifica.
E per dominare non si esagera certo con le definizioni, perché la prestazione messa sul ghiaccio dai bianconeri è stata di quelle che non si vedevano da tempo per gioco, continuità e intensità, la migliore di questa stagione sicuramente alla Cornèr Arena.

Poi però arrivano i però, di una squadra che il litigio con il gol ce l’ha sempre nel sangue e se pure deve fare a meno di Sgarbossa e Bertaggia (non certo dominatori del campionato, ma una coppia che ultimamente si capiva a meraviglia e stava iniziando a produrre punti) per schierare il solito inconcludente Perlini, ben capiamo il quadretto che abbiamo di fronte, con oltretutto l’espulsione di Sekac da mettere in conto.
Mettiamoci pure la bravura di Aeschlimann, la sua buona dose di fortuna che accompagna sempre i portieri più forti, le traverse colpite da Alatalo e Fazzini, ma il resto delle occasioni sciupate dal Lugano ha anche dell’incredibile.
Parliamo del tiro alto di un paio di metri di Omark a porta vuota, delle finte di Alatalo conclusesi con un tiro in pancia al portiere grigionese a cinquanta centimetri di distanza e di altre conclusioni ancora da distanza ravvicinata finite sui gambali a terra o dei tiri al volo mancati per “paura”. Tutto questo non è frutto del gioco o del non gioco, ma è una questione individuale di giocatori che mancano di killer instinct e a cui comincia forse anche a montare la classica frustrazione che non fa altro che peggiorare le cose e su cui uno staff tecnico, bravo o non bravo che sia poco ci può fare.

Qui semmai si parla di costruzione di una squadra squilibrata, con tanti bravi lavoratori e pochi giocatori dal gol facile, oltre che di un roster che negli anni non ha mai avuto una continuità di costruzione e che ha tanti giocatori ancora alla ricerca del proprio ruolo preciso. A questo punto della stagione, che è iniziata da poco ma che è già nel suo vivo, emergono chiari e tondi i limiti di giocatori come Perlini – che se si annunciava come scommessa persa lo sta facendo trionfando – , di un Simion “scarico” e di un Omark in un previsto stato di forma precario e capace di giocare praticamente solo da fermo in powerplay.
È un peccato dover già rimarcare tutte queste mancanze, perché seppure a singhiozzo, il credo di Tomas Mitell sembra passare piano piano e con i tempi previsti (che rimangono lunghi) perché le prestazioni che abbiamo visto proporre in trasferta soprattutto e contro le prime della classe da questa squadra dicono che la volontà di proporre quanto viene allenato c’è, aldilà della riuscita.
Il Davos ha anche dato prova che tutte le squadre del campionato possono venire messe in difficoltà, che tutte possono anche giocare male, ma che nelle sere in cui si subisce il gioco avversario, ci deve essere qualcuno che toglie le castagne dal fuoco, e in quel caso prestazione a parte ci si tappa il naso, nessuno si lamenta e si è contenti comunque.

E al Lugano manca questo, quel giocatore o due che nelle difficoltà o quando il gol “è nell’aria” ti trova la giocata giusta indirizzando o cambiando gli equilibri delle partite, quei giocatori che ti permettono di lavorare sui tuoi progetti a lungo termine.
I bianconeri in questo momento però sono questi, non si scappa, quindi dalla frustrazione di giovedì sera dovranno essere bravi a cavare la giusta motivazione per fare punti nelle prossime due trasferte da brivido e continuare con la ricostruzione di una squadra che presenta ancora tante e profonde cicatrici del passato che non spariranno in un batter d’occhio.
Per guarire da questo però occorre anche che allo staff tecnico vengano fornite le medicine giuste, per il momento quello che Steinmann ha somministrato a Mitell e Hedlund nella forma degli stranieri (Sanford a parte più un paio di altri che stanno sulla sufficienza) sembra più un insipido brodino rifilato a un paziente bisognoso di ormoni della crescita.
IL PROTAGONISTA

Matej Stransky: Viene arginato bene dai bianconeri, il suo gioco fisico fatica ad emergere e quindi si rende utile in fase difensiva e di pulizia dei dischi recuperati. Quando però c’è da fare la differenza gli basta un tiro nel momento giusto e la partita si chiude in quell’istante. Ecco la differenza tra chi aspetta in eterno i Perlini e chi sa che Stransky prima o poi si renderà decisivo, volenti o nolenti.
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