COIRA – La notizia di due mesi fa ha un po’ colto tutti di sorpresa: Nicola Celio lavorerà nelle fila del Coira. Con la storica bandiera dell’Ambrì Piotta abbiamo discusso in particolar modo di questo nuovo capitolo della sua vita. Una sorta di ripartenza al servizio dei giovani.
Nicola, è iniziata la tua avventura a Coira, sei già in loco?
“Sì, dal primo d’agosto mi trovo qui, anche se gli allenamenti sono iniziati solamente al cinque del mese. Qui a Coira si respira un po’ la stessa aria della Leventina, tutti si conoscono e c’è molto cuore. Ho trovato delle persone di sani principi, di vecchio stampo. Insomma mi trovo bene, c’è molta serietà, cordialità e semplicità”.
Raccontaci, come sei stato contattato e come si sono svolte le trattative?
“Tutto è partito da un amico, Robi Szendroi. Lui ha tantissimi contatti e ha fatto da tramite. I dirigenti del Coira gli hanno chiesto se io fossi eventualmente disponibile ad entrare nel club. Abbiamo dunque preso appuntamento trovando rapidamente una soluzione. Io ero la persona che loro stavano cercando”.
Sei rimasto un po’ sorpreso dall’interesse del Coira? Sei tornato solamente l’anno scorso in MyHL come allenatore dei GDT, dopo una lunga pausa dal mondo dell’hockey…
“Sicuramente non ho l’esperienza ventennale dei miei cugini Manuele e Daniele, non c’è paragone con loro, quello sì. Ho comunque una visione avendo vissuto l’hockey da giocatore per venti anni e avendolo poi seguito alla televisione dall’esterno. Penso che ciò che ho fatto sia stato molto apprezzato e credo di essere sulla strada giusta. Collaboro molto con i fratelli Von Arx, ad esempio stamattina ero sul ghiaccio con loro a seguire la prima squadra. Lo staff di quest’ultima non è grande, ci sono solamente loro due e un allenatore dei portieri. Quindi Reto e Jan mi vogliono assieme sul ghiaccio quando è possibile. Questo permette anche una migliore sinergia tra la squadra di Sky Swiss League e quelle giovanili. Io vedo lo stile di gioco e posso anche capire meglio quale giocatore della U20 potrebbe dare una mano e in quale modo alla squadra di lega cadetta”.
Sei l’allenatore della U20, della U17 e fungerai da Capo Scouting. Come farai in caso di sovrapposizione tra le due squadre?
“Per la U20 sarò in ogni caso sempre presente, dato che sono per così dire da solo, ho solamente due persone che mi aiutano, ma non saranno sempre presenti. La U17 invece la guiderò assieme ad altre tre unità e ci divideremo i compiti. Chiaramente io sarò il capo allenatore e controllerò tutto, poi ovviamente non posso dividermi in due e quindi in caso di partite in contemporanea la U17 sarà diretta dagli altri collaboratori. Essi sono perfettamente in grado di svolgere questo lavoro, sono già presenti da tempo e oltretutto conoscono già alla perfezione i giocatori, al contrario del sottoscritto. Di base nella U17 disponiamo di moltissimi elementi, mentre la U20 è più ridotta, ecco perché lo staff di quest’ultima è meno numeroso”.
Hai portato qualcuno con te in qualità di assistente?
“No. Gli altri assistenti erano già sul posto, sono per così dire dei volontari e non dei professionisti o semi-professionisti. Mancava proprio una figura sempre presente e quella sono io. Oltre a gestire la formazione sarò il responsabile dei trasferimenti e curerò la collaborazione con gli altri partner-club del Coira. Poi c’è anche la parte amministrativa che dovrò gestire io”.
Quale sarà il tuo approccio con i giovani, sei uno che li coccoli, hai pazienza o sei piuttosto duro?
“Non sono un duro, non mi ritengo tale, ma ogni tanto il bastone va adoperato, così come a volte bisogna pure dare la carota. L’importante è che ci sia coerenza quando si vuole insegnare e si desidera portare dei messaggi. È importante essere chiari, e io lo sono. Non voglio fare cose complicate, mi piacciono le cose semplici e l’hockey è uno sport semplice. Non sono io ad averlo inventato, è inutile complicare questo gioco. Noto che questo mio modo di fare è già apprezzato dai ragazzi, probabilmente qualcuno in passato gli ha spiegato questo sport in maniera difficile”.
Certo che Coira è un nome affascinante e di tradizione. Sono tanti i talenti usciti da qui: Theo Wittmann, Nino Niederreiter, Dino Kessler, Renato Tosio, Enzo Corvi, Edgar Salis, Leandro Profico e tanti altri ancora…
“È proprio così e l’attuale progetto con la partecipazione dei vari Genoni e Niederreiter è molto interessante. Dopo alcuni anni un po’ bui, si vuole riportare il Coira ad avere più lustro e maggiore professionalità. La vicinanza e l’entrata in società di figure di calibro come Genoni e Niederreiter può solamente fare bene e i primi frutti si stanno già vedendo. Si sta lavorando bene”.
Tuo cugino Manuele, che abbiamo intervistato qualche settimana fa e hai precedentemente citato, è un maestro nell’ambito della formazione giovanile. Hai discusso con lui, ti sei fatto dare qualche consiglio?
“Abbiamo avuto dei contatti. Avrei anche voluto fare un salto da lui per vedere maggiormente un po’ tutto in merito alla gestione, ma non ho avuto il tempo. Ho concluso la mia attività precedente il 31 luglio, ho solo avuto il tempo di fare le valigie e di arrivare a Coira. Sicuramente tra una o due settimane, una volta partito bene il tutto, lo contatterò nuovamente. Cercherò di prendere tutto quello che posso e approfittare della sua esperienza”.
Niederreiter lo hai già incontrato?
“Sì, sono stato diverse volte in questi giorni con lui sul ghiaccio e ci ho parlato. Ci siamo pure inviati alcuni messaggi. Nino fa parte del club, è parte integrante di questo progetto di crescita. Ci siamo scambiati alcune idee sul da farsi e sicuramente non esiterò a contattarlo in futuro in caso di nuove proposte. Bisogna sfruttare la sua presenza e il suo background”.
Sei stato uno dei primi a essere convertito da attaccante a difensore. I tuoi giovani giocatori non ti hanno vissuto in qualità di professionista. Ti sei presentato come ex attaccante o come ex difensore?
“In generale dico sempre che ho giocato nei due ruoli. Io consiglio ai ragazzini tra i 9 e i 15 anni di provare le varie posizioni. Ciò permette loro di capire le difficoltà nel ricoprirle. Ad esempio capire quanto sia difficile per un difensore essere messo sotto pressione da un avversario. Se hai vissuto questa situazione, allora in qualità di attaccante capisci che non puoi sgridare o prendertela con il tuo difensore. In un hockey sempre più globale, dove tutti difendono e tutti attaccano, fa benissimo a un giovane sperimentare tutti i ruoli e cambiare pure tra destra e sinistra. Questo ti aiuta, perché il giorno che poi un allenatore in età adulta decide di spostarti e tu non sei mai stato abituato ad altro, ti ritrovi smarrito”.
Mi ricordo che ai tempi nelle interviste “non eri mai contento di niente”. Persino quando c’era una bella vittoria, tu ti soffermavi sui punti negativi. È ancora così la tua indole, quella di un perfezionista?
“Certe cose non si cambiano. A volte è un pregio, altre è un difetto. Io sono dappertutto così, non solo nell’hockey. Poi a volte mi dico di lasciar perdere, tale cosa non diventerà mai perfetta, ma nel disco su ghiaccio cerco veramente di vedere sempre dove sono i problemi pure quando si vince. Spesso capita di farlo pur non giocando bene. Una volta o due ti può andare bene, ma alla lunga no. Quindi resto un perfezionista. Ci sono però cose che non sempre puoi controllare. Un esempio? Qualsiasi membro della squadra deve essere in condizione fisica e mentale perfetta, al 100%, altrimenti è dura fare risultato, ma questa fatto è piu che altro individuale e non si può sempre stare dietro a ogni singolo. È importante allora cercare di migliorare in altri ambiti per aumentare le chance di vittoria. I giocatori non puoi cambiarli, sono quelli, dunque devi virare su altro. Se un bus migliore mi permette di farmi guadagnare 1% in più nelle trasferte, va benissimo, cambio il torpedone. Lo stesso vale per il tipo di allenamento. Guadagnare quel 2, 5 o 8% in più può essere fondamentale per raggiungere l’obiettivo”.
L’Ambri lo segui ancora, o senza la tua Valascia non è più la stessa cosa?
“Sono sempre vicino all’HCAP, anche se non ho più visto tante partite dal vivo alla Gottardo Arena. Lo seguo però costantemente. Una volta che sei dentro nel mondo biancoblù è impossibile lasciarlo, non ci si può togliere”.
Ti ringraziamo per il tempo concessoci e finiamo in bellezza. Se ti dico 24.10.1998 cosa ti viene in mente?
“Hmm… nulla”.
Ambrì-Davos 10-0 con triplette tua, di Steffen e Petrov. Penso sia stato il tuo unico hattrick della carriera…
“Ah ecco, adesso sì che mi ricordo. Penso effettivamente che sia stata la mia unica tripletta. Era un’altra epoca, il Davos non era tornato da moltissimo nella massima lega. Quella sera fu uno dei Davos più deboli mai visto. Mi ricordo che li avevamo schiacciati, non capisco ancora oggi il perché, ma giravamo in pista a piacimento come volevamo contro un avversario veramente in difficoltà”.