LUGANO – ZSC LIONS
2-5
(1-1, 0-1, 1-3)
Reti: 2’11 Arcobello (Guerra, Morini) 1-0, 13’58 Rohrer (Kukan, Lammikko) 1-1, 34’40 Malgin (Sigrist, Balcers) 1-2, 44’55 Chris Baltisberger (Balcers) 1-3, 47’04 Fröden (Hollenstein, Kukan) 1-4, 54’47 Thürkauf (Granlund, Alatalo) 2-4, 56’58 Fröden (Hollenstein, Lammikko) 2-5
Note: Cornèr Arena, 4’494 spettatori
Arbitri: Borga, Nord; Altmann, Gurtner
Penalità: Lugano 1×2, ZSC Lions 4×2
Assenti: Bernd Wolf (infortunato), Stephane Patry, Jeremi Gerber, Thibault Fatton, Daniel Carr (sovrannumero)
LUGANO – A tratti, soprattutto in quel terribile secondo periodo, è stata una vera e propria lezione di gioco e di organizzazione. La sfida tra Lugano e ZSC Lions ha messo in mostra le differenze che ci sono ad oggi tra una squadra, quella di Gianinazzi, che si sta costruendo e vuole essere protagonista e una che è una macchina quasi perfetta sul piano del gioco, con un tasso tecnico che nessun altro in Svizzera può vantare, e quando si aprono i fianchi a una corazzata come quella di Marc Crawford anche con un po’ di ingenuità ecco che iniziano i dolori.
Il coach bianconero per tornare alla vittoria dopo la partita “a metà” di Losanna ha rimescolato alcune carte, con Koskinen di nuovo in porta e Carr che un po’ a sorpresa gli ha fatto spazio sedendosi in tribuna, con pure il rientro di Zanetti dopo le uscite con gli Elit.
Ma non è stato un problema di formazione quello che ha fatto soccombere il Lugano, bensì tutto un insieme di fattori che hanno praticamente sabotato dall’interno i bianconeri, decisi a voler proporre di nuovo il loro sistema di gioco anche contro gli zurighesi. Una cosa sicuramente coraggiosa ma anche coerente, se si prende una strada è giusto percorrerla, ma quando i primi dossi e qualche buca ti fa inciampare, forse è meglio prendere qualche correttivo.
Al termine della partita della Vaudoise Arena predicavamo (da osservatori e profani, ovviamente) più semplicità nelle giocate dei bianconeri, date la difficoltà che i difensori avevano trovato nelle uscite dal terzo nel tentativo di saltare il forecheck avversario, e anche alla Cornèr Arena è avvenuta la stessa cosa, anzi è stata amplificata dalla maestria di una squadra come i Lions nel far girare il disco dopo averlo recuperato e aver dato le spalle ai difensori.
Ancora una volta a risultare più in difficoltà in questo esercizio sono sembrati soprattutto Andersson, Guerra e LaLeggia, con il canadese autore di una prestazione alquanto preoccupante, per banalità degli errori, letture del gioco e la propensione a lasciare che gli avversari diretti come Frödén, Malgin e Lehtonen potessero giocarsela contro di lui in uno contro uno, dove ne è uscito con le ossa rotte.
Ed è ovvio che se dalle retrovie non arriva l’acqua (il disco) le truppe avanzate faticano, rallentano, tornano per riprendere il pallino del gioco ma sprecano energie, vanno in calo di lucidità e mettono ancora di più in confusione il gioco. Per il Lugano è stato un vero e proprio regalo poter riprendere nel terzo tempo sotto solo di una rete, e allora dal quarantesimo in avanti ci aspettavamo più pazienza e concentrazione, e invece abbiamo assistito ancora a due errori individuali di posizionamento e gestione del disco pagati con il consueto opportunismo avversario.
Sintomatico il fatto che il giovane Zumbühl, schierato per la prima volta in National League dal primo minuto, abbia dovuto compiere forse uno o due interventi veramente difficili dopo la rete di furbizia e classe di Arcobello, tanto hanno faticato i padroni di casa a farsi rivedere dalle sue parti. L’americano, checché se ne dica, è stato assieme a Thürkauf l’attaccante più lucido e concentrato nelle sue giocate, mentre il resto degli stranieri e qualche altro leader ha faticato a entrare in partita, ad immagine di un Ruotsalainen completamente ai margini del gioco e un Granlund che sembra in difficoltà sul piano fisico, oltre a un Fazzini sciupone e frettoloso.
Ci ha provato poi a rimescolare le carte in corsa Gianinazzi, con Joly schierato assieme ad Arcobello e Morini, mentre Zanetti è stato spostato all’ala con i due finlandesi.
Si è notata anche una mancanza di esplosività nel finale, ma questo risulta normale quando si passa la maggior parte della partita ad inseguire l’avversario e a dover pattinare il doppio per rimediare agli errori.
Non è certo il caso di panicare, ma un week end da zero punti come questo ha detto alcune cose, che il Lugano il potenziale ce l’ha ed è in grado di giocare, ma anche e soprattutto che ci sono dei correttivi da fare in maniera capillare e “pesante”, ma molto dell’aiuto dovrà venire dai singoli, in troppi sono apparsi poco concentrati e frettolosi quando messi sotto pressione.
Occorrerà trovare il modo perché quella pressione vada ribaltata sull’altro fronte e non continui a fare troppi danni nel cammino intrapreso.
IL PROTAGONISTA
Jesper Fröden: Velocità, classe, mani delicatissime. Lo svedese dei Lions disegna hockey “nobile” con il disco sul bastone, ma quando parte alla ricerca dell’avversario o nel duello uno contro uno diventa una potenza. Lo si vede poco sul ghiaccio e quando succede occorre preoccuparsi, perché in un attimo te lo ritrovi alle spalle ed è ormai troppo tardi. Letale.