Salutato anticipatamente Filip Chlapik, l’Ambrì Piotta ha passato il suo testimone allo svedese Jakob Lilja, che raggiungerà finalmente quel campionato svizzero che già un anno fa era nei suoi pensieri. La scorsa estate per lui era però stato impossibile liberarsi dall’accordo in KHL che lo legava al Barys Nur-Sultan, ed aveva poi finito per essere scambiato in agosto alla Dinamo Mosca.
“Già un anno fa avevo effettivamente pensato al campionato svizzero – ci ha spiegato il 29enne al telefono – ma non era stato possibile trovare una soluzione per sciogliere in anticipo il mio contratto KHL. Avevo anche fatto visita ad alcune squadre, ma in termini burocratici la situazione era molto complicata ed alla fine non avevo potuto trasferirmi. Ora finalmente la questione è risolta e sono felice di poter raggiungere il vostro paese”.
Jakob Lilja, come è nato l’accordo con i biancoblù?
“Quando il mio agente mi ha comunicato che c’era l’interesse dell’Ambrì Piotta ho subito chiesto ad alcuni amici che avevano giocato in Svizzera come ricordavano quell’esperienza, e tutti mi hanno risposto con entusiasmo. Ho così parlato con Duca e Cereda sulle prospettive di un mio arrivo in squadra, e ciò che mi hanno detto era per me interessante. Ho avuto l’impressione di una realtà di cui è molto divertente fare parte”.
Quali temi avete affrontato in quelle occasioni?
“Abbiamo discusso del sistema di gioco e di cosa si attendono da me. Mi hanno inoltre mostrato la passione dei fans, che sono molto legati alla squadra. Si sono insomma preoccupati di farmi una bella panoramica, anche se in passato avevo già sentito parlare dell’Ambrì ed in carriera mi era anche già capitato di affrontare squadre svizzere. Diciamo che in generale so cosa posso aspettarmi”.
In National League militano parecchi svedesi, hai qualche amico tra di loro?
“Sì, conosco un paio di giocatori che attualmente giocano in Svizzera, in particolare Calle Andersson che è pure lui cresciuto a Malmö. Abbiamo la stessa età e ci conosciamo da oltre vent’anni, dunque ho parlato un po’ con lui prima di prendere la decisione di trasferirmi in Svizzera. Mi ha raccontato della rivalità che c’è tra Lugano ed Ambrì, e mi ha descritto il Ticino come una regione magnifica”.
Cosa puoi dirci invece sul tuo stile di gioco?
“Mi piace fare affidamento sulla mia velocità ed il mio tiro. Ho una stile di gioco che fa leva sulla potenza, e per questo sono un attaccante che lavora duro. Diciamo che la mia filosofia è quella di unire una mentalità offensiva ad un gioco comunque “ruvido” ed energico, e proprio per questo sono orgoglioso anche del mio contributo difensivo. Sicuramente voglio essere efficace in avanti, ma il tutto aiutando la squadra in ogni aspetto del gioco. Uno dei miei compiti sarà comunque quello di produrre reti e assist, la mia speranza è quella di riuscirci nel miglior modo possibile”.
Nelle ultime stagioni eri inoltre tra i giocatori KHL ad avere una delle percentuali al tiro migliori… In Svizzera ti vedremo concludere di più?
“Sì, questa potrebbe essere una buona idea (ride, ndr)! La scorsa stagione soprattutto nel finale avrei forse potuto tentare la conclusione più spesso, mentre all’inizio cercavo la porta avversaria con maggiore convinzione. Uno dei focus ad Ambrì sarà proprio questo, ma molto dipende anche dalla tipologia di giocatori che ti vengono affiancati. Insomma, su questo argomento bisognerà attendere un po’ per capire ciò che mi verrà chiesto”.
Hai ricevuto particolari indicazioni da parte dello staff per la fase di preparazione che svolgerai in Svezia? Dovrai adattarti ad una nuova realtà…
“Sinora no, ma ho già visto delle partite del campionato svizzero in passato e mi è capitato di affrontare alcuni club elvetici. Nella preparazione lontano dal ghiaccio non ho problemi, so cosa fare durante l’estate, mentre pensando al gioco forse farò qualche ricerca online per aggiornami un po’, ma in generale sento di conoscere l’hockey svizzero abbastanza bene. So che sta progredendo spedito, il livello si è alzato e le partite sono più strutturate”.
Hai passato anche un anno in Nordamerica, nel periodo però in cui è scoppiato il Covid. Sei dunque rientrato dopo una sola stagione in Europa, hai dei rimpianti?
“Direi di no. Quando ho avuto l’opportunità di raggiungere i Columbus Blue Jackets avevo già qualche anno di troppo rispetto a chi solitamente tenta il salto in Nordamerica… A 25-26 anni è molto difficile imporsi. Sono comunque riuscito a passare più tempo in NHL rispetto a quello in cui sono stato spedito nel farm team, ma poi è arrivato il Covid e le cose si sono complicate. Oltre oceano prevedevano di riprendere la stagione in estate, ma nel frattempo avevo ricevuto delle offerte interessanti dalla KHL ed ho deciso di accettare. In Nordamerica non era inoltre chiaro cosa sarebbe successo in AHL, si trattava decisamente di una situazione inedita”.
Come valuti invece la tua esperienza in KHL? Sei tornato a fare un buon numero di punti, ma con la guerra in Ucraina e l’impossibilità di liberarti dal tuo contratto ci sono stati anche momenti difficili…
“Cerco di guardare a quell’esperienza dal punto di vista sportivo, ed in quel senso ho imparato molto, specialmente quando vestivo la maglia del Barys Nur-Sultan. In squadra c’erano diversi stranieri e volevano che il nostro gioco fosse particolarmente offensivo, e nello specifico mi sono ritrovato in una linea in cui il mio ruolo era prettamente quello del tiratore. Avevo il compito di finalizzare, e mi sono trovato bene. Nella passata stagione a Mosca la situazione era un po’ diversa, pensando anche alle tensioni per la guerra in Ucraina, ma c’erano dei bravi allenatori e dal punto di vista hockeyistico le cose erano positive”.
La tua carriera è stata segnata anche da quell’episodio nel 2015, finito in un tribunale civile e con importanti conseguenze legali. Quanto ti ha segnato quello che è successo?
“Negli anni immediatamente successivi ci pensavo spesso, ma ora è passato un po’ di tempo e non è più un episodio fisso nella mia mente. Sul momento però quanto accaduto aveva fatto molto scalpore, vivere qualcosa del genere ti fa sicuramente crescere come persona, e ti rendi conto che le azioni che compi poi saranno parte di te per sempre. Quando è successo quell’incidente ero un giovane giocatore ed ho dovuto crescere a livello mentale, ed ovviamente quando sei sul ghiaccio ti ritrovi a pensare un po’ di più, perché se non si controllano le proprie azioni si può finire nei guai. In questo senso forse sono un po’ cambiato, sono un po’ più prudente e cerco di tenere maggiormente il controllo. Ma oggi durante le partite non ci penso più”.