“Jan Mosimann è stato un giocatore che ha sempre mantenuto l’ambiente alto in squadra grazie al suo modo di fare divertente e al suo essere semplice e mai complicato. Con lui nessun giorno è stato noioso. È stato un combattente, ha sempre lavorato duro soprattutto per la squadra e facendo così è stato ricompensato con la rete più importante della storia del Rapperswil. Credo che nessuno tranne lui avrebbe potuto segnare quel gol. Lui con la sua indole rappresentava e incarnava esattamente il nostro gruppo alla perfezione. Un grande giocatore che smette troppo presto, ma così è la vita”.
Questo sono le parole del portiere del Rapperswil, Melvin Nyffeler. Già, perché a Jan Mosimann, l’ex attaccante dei Lakers autore della storica rete che cinque anni fa consegnò la promozione ai sangallesi, volevamo dedicare un’introduzione di prestigio. Dopo un’ultima tappa a Olten l’ala ha deciso di ritirarsi. Una lunga intervista per tornare su quel momento e tanto altro ancora.
“Mösu” a soli 29 anni hai detto basta. Come mai questa decisione?
“Non è evidente da spiegare, non avevo più la carica e la forza necessaria. Certo avrei anche potuto continuare, ma non avrebbe avuto senso. Non ne sarebbe valsa la pena, non sarei me stesso se non andassi a tutto gas e non sarebbe nemmeno giusto. Sono subentrate inoltre altre esigenze e bisogni che prima non esistevano, come fare vacanze a dicembre e andare a sciare. Prima il resto mi era indifferente, c’era solo l’hockey, ora non più”.
Oltre a te diversi giocatori ancora giovani hanno smesso o perlomeno lasciato il professionismo (Paupe, Moor, Langenegger, Oehen per fare alcuni nomi). L’aumento degli stranieri a sei in NL, la riduzione di squadre in SL e i minori soldi in circolazione in quest’ultima hanno avuto un influsso?
“Credo proprio di sì. Sui sei stranieri è forse ancora prematuro per esprimersi, certo che per me con questa regola le porte di National League si sono chiuse definitivamente. A mio avviso però a influire maggiormente è il fatto che la Swiss League abbia voluto diventare indipendente. Questo sì che è stato un autogol. Direi una bugia se affermassi che l’aspetto finanziario non abbia avuto un peso. Un paio di società della lega cadetta pagano ancora bene, ma in generale per questi stipendi non vale la pena andare avanti. È meglio iniziare a lavorare in un altro ramo e in poco tempo guadagni gli stessi soldi e metti le basi per il futuro”.
Pensi di non essere stato abbastanza bravo negli ultimi anni per poter continuare a giocare a livelli più alti? Ti fai autocritica?
“È difficile da dire, può darsi che sia così, ma spesso dipende anche dal tempo di ghiaccio che ricevi. Se non hai la fiducia dell’allenatore poi diventa dura ritagliarsi spazi e mettersi in evidenza, dipende parecchio dal ruolo che ti viene affidato. A questo proposito sono stato contento delle mie prestazioni nei playoff con l’Olten. Ho mostrato le mie capacità quando ho ricevuto la possibilità”.
Torniamo all’apice della tua carriera, in un istante sei diventato una leggenda per i tifosi del Rapperswil. Quella tua rete in Gara 7 dell’overtime nello spareggio contro il Kloten, praticamente è impossibile superare l’importanza di un gol del genere. È il sogno di ogni bambino…
“Davvero una follia…. È il momento di una partita che ti inventavi da bambino, quando giocavi sul piazzale della scuola: siamo al supplementare, chi segna vince. È stato incredibile poter vivere un momento del genere nel mondo reale e non solo in quello dell’immaginazione infantile, è stato semplicemente indescrivibile”.
Già, perché in fondo puoi vincere o perdere un titolo, ma le condizioni di lavoro in sostanza non cambiano, mentre in caso di promozione o retrocessione la musica è un’altra…
“Esatto, in questi casi subentrano cambiamenti non solo per i giocatori, ma per tutti gli altri impiegati della società e ciò che ci ruota attorno. Chi viene retrocesso soffre molto, si rischia di entrare in crisi, per chi sale la gioia è invece immensa, è una sensazione grandissima, probabilmente la più grande”.
Sono trascorsi ormai 5 anni dal quel 25 aprile, riguardi ancora l’azione con il commento originale? La verticalizzazione di Schmuckli, il passaggio di Hügli e la tua conclusione: ti rigiochi l’azione vincente nella tua mente, magari quando sei al lido in riva al lago nella tua Bienne?
“Ci penso spesso, anche perché – ed è divertente – abbiamo ancora la chat di gruppo della linea comprendente Mason e Hügli. Ogni anno arriva qualche notifica per ricordare l’evento e celebrarlo. Capita spesso di ripensarci anche per caricarsi di energia positiva, ma mai al lido, lì cerco sempre di non pensare all’hockey. In ogni caso anche se volessi dimenticarmi dell’accaduto non ci riuscirei: la gente quando mi incontra mi parla spesso di quella rete e fioccano le domande. Ogni tanto mi capita di riguardare il video, ma non più così spesso come una volta. Ma ti dirò, più della rete, mi restano impressi i ricordi che ha scatenato, le conseguenze: la festa, l’intera città in visibilio, tutto ciò che è successo quella notte e quei giorni balordi. Alla fine sono questi i momenti più belli, ancora migliori e più emozionanti dell’istante in cui il disco decisivo è entrato in porta”.
Non ti sei mai chiesto perché proprio tu hai avuto il merito e pure la fortuna di segnare la rete decisiva?
“Non me la sono mai posta questa domanda. In fin dei conti il nostro blocco era forte, avevamo prodotto molto durante tutta la stagione, non era quindi una sorpresa. Era possibilissimo che avremmo potuto essere noi a decidere la contesa, anche se di base ovviamente gli indiziati numeri 1 sono sempre gli stranieri”.
Rinunceresti a quella rete se in cambio potessi giocare i prossimi cinque anni in National League?
“No, mai nella vita. Quegli anni da professionista non varrebbero quello che ho vissuto con il Rappi in quella fantastica serata. Abbiamo fatto qualcosa che è entrato nei libri di storia, rimarrà per sempre”.
Torniamo al tuo ritiro… La persona che si è fatta viva dopo la notizia e che ti ha sorpreso maggiormente?
“Più che altro sono rimasto stupito da quanti mi abbiano contattato. Mi ha fatto molto piacere, significa tanto per il sottoscritto. Molti mi hanno ringraziato per aver potuto giocare al mio fianco, in parecchi mi hanno detto che ero un’ottima persona all’interno dello spogliatoio. È davvero bello. A livello dei singoli parlare di sorpresa forse è esagerato, ma ricevere messaggi da parte di Jared Aulin e Dion Knelsen, gli stranieri della promozione, non era evidente. Non abbiamo praticamente più avuto contatti dopo che le nostre strade si sono divise, ma non si sono dimenticati di me”.
Ma la sorpresa più grande è stata all’interno della tua famiglia…
“Mia sorella e il resto dei miei cari hanno creato un libro che ripercorre la mia carriera. La prima pagina? Avevo quattro anni, i miei primi passi sui pattini. Ogni pagina contiene le loro dediche e delle descrizioni. È stato veramente un pensiero straordinario”.
Parli di familiari. Quando si smette si decide da solo oppure no?
“Nel mio caso ho deciso io, ma ovviamente ne ho discusso con la mia compagna e la famiglia. Tutti mi hanno detto di fare quello che volevo, avrebbero sostenuto qualsiasi mia decisione. Nessuno mi ha detto di andare avanti o di smettere, non ho ricevuto pressioni per così dire”.
Riguardando il libro, vedrai tanti visi… Il compagno più forte che hai avuto?
“Non sono stati veri compagni di squadra, ma potersi allenare con Patrick Kane e Tyler Seguin a Bienne durante il Lockout è stato qualcosa di incredibile. Io, giovanissimo sbarbatello, condividevo il ghiaccio con questi due campioni. Come vero compagno di squadra dico Roman Cervenka, follia quello che mostra a Rapperswil”.
Professionalmente hai girato pagina…
“Sono consulente di vendita presso una ditta che si occupa di impianti sanitari. Ho iniziato da tre settimane e non sono mai andato a letto dopo le 22. Sono sempre così stanco, è difficile, devo imparare tutto, non ho ancora la routine. È qualcosa di completamente diverso. Nell’hockey può capitarti di cambiare squadra, ma alla fine il lavoro è sempre lo stesso. Qui invece c’è un netto taglio. Ma sono contento, mi diverto ed è proprio quello che cercavo”.
In pochi sanno che giochi anche a inline hockey e hai addirittura vinto una medaglia mondiale, insomma sei più forte in questo sport che nel disco su ghiaccio?
“Mi sa di sì, sul ghiaccio non sono mai arrivato a vestire rossocrociato (Mosimann se la ride di gusto, ndr). Nel 2018 con la Nazionale elvetica abbiamo portato a casa il bronzo. Attualmente gioco nel Bienne e stiamo disputando le partite di promozione per la massima lega. Le differenze tra le due discipline? Di base se sai giocare all’hockey su ghiaccio te la cavi pure nell’inline. Il più grande cambiamento è forse il modo in cui si frena”.
Pure il disco su ghiaccio non lo lasci comunque del tutto…
“Continuerò a giocare in Prima Lega nel Reinach, avevo pensato di smettere completamente, ma alla fine ha prevalso la voglia di respirare ulteriormente l’aria dello spogliatoio”.
Fare l’opinionista ti alletterebbe?
“Mi interesserebbe molto, seguirò in maniera intensa l’hockey, come ho sempre fatto in passato quando ero ancora professionista. Per il momento però ancora nessuno mi ha interpellato o proposto qualcosa in questo ambito, non so francamente se qualcuno pensi al sottoscritto per questo ruolo”.
Adesso vai a ruota libera, è il tuo momento…
“Ringrazio pubblicamente la mia famiglia. Senza le persone care non sarei mai arrivato così lontano e non avrei mai potuto intraprendere questo lungo viaggio, sono state le fondamenta. Poi ringrazio pure il mio capo dei tempi dell’apprendistato. Al secondo anno di tirocinio ricevetti l’opportunità di allenarmi con la prima squadra del Bienne, gli allenamenti si svolgevano al mattino e lui mi diede l’okay, a condizioni che le note fossero buone. Non era per niente una decisione evidente la sua. Infine un grazie a tutti i club, a tutti gli allenatori e a tutti i compagni che mi hanno dato una chance e mi hanno permesso di progredire. L’hockey mi ha davvero dato tanto e mi ha permesso di conoscere tante belle persone, giornalisti inclusi”.