È stato un finale di stagione amaro quello che ha vissuto l’Ambrì Piotta, e nessuno tra staff e giocatori ha nascosto la delusione per aver mancato il principale obiettivo della stagione. Inutile infatti girarci attorno, aver chiuso al 12esimo posto per il club leventinese rappresenta un risultato deludente, ed è indicazione che le promettenti basi su cui era stata impostata la stagione avevano anche delle incertezze che alla fine hanno avuto la meglio su tutto il resto.
Fare delle attendibili previsioni su un campionato che è cambiato profondamente in pochissimo tempo era però molto difficile. L’introduzione dei sei stranieri ha portato ad una lega estremamente competitiva, veloce e molto tecnica, e nell’affrontare questa transizione Paolo Duca ha costruito una squadra sulla carta attrezzata per essere competitiva, ma a cui sono mancati degli ingredienti – si parla di dettagli nella totalità delle cose, ma che fanno la differenza – per trovare la continuità necessaria per lasciarsi alle spalle quattro avversarie.
Il potenziale per riuscirci l’Ambrì Piotta lo aveva, anche se in questa valutazione bisogna avere l’onestà di aprire i propri orizzonti ed osservare anche da vicino il valore delle avversarie. Ora, dopo 52 partite, è probabilmente più evidente che le ambizioni dei leventinesi non potevano andare oltre una qualificazione ai pre-playoff strappata lottando, e basti guardare le rose di Friborgo, Berna, Lugano e Losanna per realizzare che restare alle spalle di questi club non può essere considerato un dramma.
Tutto bene insomma? Beh no, perché per definizione una stagione non può essere considerata sufficiente se l’obiettivo principale è stato mancato, questo inoltre in un contesto in cui l’Ambrì avrebbe potuto approfittare delle grandi difficoltà di Losanna e Lugano – e mettiamoci pure anche il Berna – per fare suo almeno il decimo posto.
È un caso che invece deve far riflettere quello del Kloten, che ha saputo crescere nel corso della stagione – l’inizio non era stato dei più facili, con il solo Ang a tirare il carro – ed alla fine Tomlinson ha realizzato un piccolo capolavoro. Gli aviatori sono stati costruiti attorno a degli ottimi stranieri, che non spiegano però da soli il distacco sui biancoblù, visto che il confronto di reti segnate è praticamente in pari (72 contro le 71 dei leventinesi) e con Juvonen che ha delle statistiche leggermenti migliori di Metsola.
Gli aviatori sono probabilmente riusciti a trovare quella compattezza e intensità che invece la squadra di Cereda ha mostrato solamente a tratti, e che alla fine non ha permesso di sfruttare appieno il potenziale del gruppo. Nell’adattarsi ad una rosa in cui le individualità di spicco erano più tecniche, e ad una lega dal livello più alto, l’Ambrì Piotta ha infatti incontrato le sue difficoltà, venute a galla già in autunno durante quel “famoso” passaggio a vuoto (13 punti in 14 partite dal 2 ottobre al 5 novembre) e dovute anche ad una crisi d’identità.
“Per non sprecare le sue potenzialità, l’Ambrì ora deve decidere che squadra vuole essere”, titolavamo nel nostro commento alla prima pausa della stagione, ed in questo senso il cantiere impostato da Cereda non è mai arrivato davvero a compimento. Lo staff era d’altronde consapevole che il gioco mostrato nell’avvio di stagione non sarebbe stato sostenibile, perché se dopo dieci partite la squadra era seconda con 20 punti, aveva anche il PDO più alto della lega con oltre il 105% ed un Corsi migliore solamente a quello di Ajoie, Langnau e Kloten. Ma questo era chiaro anche senza ricorrere alle statistiche avanzate, raramente “l’Ambrì aveva fatto l’Ambrì” e questo ha velocemente presentato il suo conto.
In questo senso si possono chiamare in causa intensità, combattività, carica agonistica oppure la capacità di aumentare il ritmo, ma fatto sta che la squadra di Cereda non ha mai fatto suo quello standard necessario per poi rendere davvero efficaci le proprie caratteristiche tecniche. È stato un Ambrì che in alcune serate è stato troppo “soft”, ed i continui cambiamenti di linee sono andati probabilmente anche in questa direzione, tra logiche di bilanciamento ed altre per cercare di “far girare” la squadra. I risultati sono però stati altalenanti.
I due slot hanno spesso rappresentato un problema, specialmente in quelle partite tirate o rognose in cui sporcarsi le mani è più efficace che cercare il passaggio smarcante. Probabilmente non è nemmeno un caso che la Coppa Spengler abbia rappresentato un contesto in cui l’Ambrì ha dato addirittura spettacolo, con Spacek e compagni capaci di mostrare giocate da applausi.
Sull’arco dell’intera stagione il lineup leventinese ha inoltre viste esposte le sue debolezze. Duca in sede di mercato è intervenuto per colmare una delle lacune storiche, ovvero quella dei centri, ma il flop rappresentato da Shore e gli infortuni prima di Heim e poi di Kostner hanno minato la solidità della squadra. Nel mezzo si sono arrabattati i vari Chlapik, Grassi, McMillan, Kneubuehler, Trisconi ed infine Rüfenacht, ma essere la peggior squadra della lega ai faceoff significa iniziare troppe azioni dovendo recuperare il puck.
Una pezza in questo senso si sarebbe potuta mettere prima di Natale, ma il mercato ha presentato a Duca un’occasione troppo ghiotta per essere ignorata. Il livello promesso (e poi mantenuto) da Formenton era tale da poter chiudere entrambi gli occhi sul fatto che fosse un’ala pura, ed il canadese ha velocemente ripagato il suo ingaggio – che anche a livello morale e d’immagine presentava delle insidie – ed è stato fondamentale nella vittoria della Coppa Spengler.
Il successo al torneo di Davos è stato un altro tema molto discusso. È innegabile che per la società ha rappresentato un momento importante e forse anche il trofeo di maggior risalto nella sua storia, ed è sbagliato sminuirne l’importanza soprattutto per un club che non vince una serie di playoff da inizio secolo. Ma la Spengler resta quella che è, un tradizionale torneo giocato nelle festività la cui vittoria rappresenta per il club leventinese uno degli highlights della sua intera storia, ma che rimane confinato nel suo contesto. Non addolcisce o ridimensiona la delusione per aver mancato i pre-playoff, anche semplicemente perché ha senso valutare la squadra sull’arco di vari mesi e 52 partite, meno per una fiammata di cinque partite in sei giorni.
Un altro dei limiti evidenti è stato rappresentato dai difensori svizzeri, che si sono trovati spesso in difficoltà nonostante le prestazioni assolutamente eccezionali di Heed e Virtanen. I due stranieri hanno superato il mezzo punto a partita, giocato tra i TOI più alti della lega e bloccato tantissimi tiri… Una stagione insomma completa e da incorniciare, e che ha contribuito ad un quantità di reti dalle retrovie da record (solo il Ginevra ne ha ottenute di più).
Ha invece faticato il resto del reparto, tra elementi con vertiginosi alti e bassi (Burren su tutti) ed altri che hanno dovuto scendere a patti con i loro limiti oppure con qualche acciacco di troppo. In generale molti di loro hanno avuto difficoltà nel reggere il confronto con una lega di alto livello, concedendo qualcosa di troppo a livello di mobilità e pattinaggio che ad un certo punto della stagione ha anche aperto la diatriba sulla difesa a uomo applicata da Cereda.
Una questione probabilmente troppo tecnica per essere condannata via stampa – chi ha davvero le competenze per addentrarsi in un discorso del genere? – ma che rappresenta sicuramente un interessante spunto di riflessione. In fondo l’Ambrì a parità numerica è stata la seconda squadra più bucata della lega, e pensando anche a qualche energia che è probabilmente venuta a mancare nel finale di stagione, un sistema tanto dispendioso non è escluso che presenti il conto. Chlapik in questo senso già in novembre aveva espresso le sue riflessioni.
Proprio con l’attaccante ceco Cereda aveva dovuto gestire un momento particolare – quella sfuriata in panchina contro l’Ajoie – a cui si sono aggiunti i delicati problemi di Zwerger oppure il fatto di aver relegato Conz al ruolo di backup. Dei compiti non facili, così come quello di gestire un gruppo composto da diversi bravi giocatori ma a cui sarebbe potuto servire qualche leader di maggior “peso”, sia caratteriale che fisico.
Su questo tema si può ripensare a Shore, sulla carta il centro solido e forte agli ingaggi che serviva alla squadra, ma che si è rivelato essere l’ombra del giocatore atteso. Chissà come sarebbero cambiate le dinamiche di questo Ambrì con un elemento come Adam Hall oppure un Andrew Rowe, ed in generale con qualche personalità più esuberante come lo erano stati Novotny oppure Upshall. Le partenze di Fora e Bianchi un vuoto lo hanno lasciato, ed anche avere dei trascinatori un po’ introversi come Spacek, Chlapik oppure Formenton è stato forse pagato a livello di emozioni nei momenti più complicati (l’Ambrì è stata la seconda squadra a giocare più minuti in svantaggio, e la seconda a giocarne meno conducendo nel punteggio). Ma questo solo chi ha vissuto lo spogliatoio può dirlo.
In termini di produttività invece tutti hanno mantenuto le promesse. Spacek ha chiuso con un punto a partita e con il titolo di giocatore più produttivo a 5-contro-5, Bürgler e Pestoni sono stati rispettivamente il terzo e quarto miglior marcatore svizzero della lega, e Heim – al netto dell’infortunio – si è piazzato al nono posto per punti a partita. Chlapik ha segnato 24 gol dietro solo a Stransky e Hartikainen, e nessuno ha tirato in media più di lui (il che gli permette di vantare anche il secondo miglior Fenwick di lega). Formenton invece si è piazzato secondo per tiri dallo slot, evidenziando quella mentalità che ad alcuni compagni è mancata.
Ha inoltre vissuto la sua miglior stagione Kneubuehler, il solo però ad assicurare quel secondary scoring che i vari Zwerger (peggior bilancio di squadra con -16, solo 15 punti primari ed appena sette a parità numerica), Grassi (tre gol e di nuovo il giocatore con più 2’ in tutta la lega), McMillan oppure lo sfortunato Kostner non hanno saputo alimentare.
Si aggiungano a tutte queste considerazioni le ottime prestazioni di Juvonen, ed ecco che si può condividere la sensazione che questo Ambrì Piotta poteva fare meglio. Il roster ha però pagato le sue fragilità, ed anche al completo il motore biancoblù non ha mai raggiunto uno standard di giri sufficientemente alto per ottenere risultati in più modi diversi.
Difficile in questo contesto anche far crescere i giovani – uno degli altri obiettivi stagionali dichiarati – anche se va sottolineata l’incredibile progressione di Heim (che ha soli 24 anni) nel giro di due stagioni, ed un Valentin Hofer impiegato spesso con i cechi e che ha fatto una prima esperienza di rilievo. Hanno invece faticato di più i vari Zündel, Wüthrich e Marchand, da rivedere la prossima stagione assieme a Pezzullo e Terraneo.
Ora resterà da capire come club e staff tecnico valuteranno quanto fatto, in quella che è stato una sorta di “anno zero” dell’hockey svizzero, dove sulle piste abbiamo visto una competitività inedita. Con l’arrivo della nuova pista ed una crescita sportiva chiamata allo step successivo – dopo un consolidamento tutt’altro che scontato, che oggi parla anche di 6’500 spettatori a partita – in molti si aspettano una parabola ascendente ispirata a quella imbastita da Bienne oppure Rapperswil, ma ogni realtà ha i suoi ritmi e peculiarità. Ed anche i suoi limiti.
L’Ambrì Piotta non è sicuramente più quello di sei anni fa, ed in questa stagione ci ha anche mostrato dei tratti di bell’hockey culminati nella vittoria della Coppa Spengler, che a prescindere da tutto verrà ricordata per molto tempo. È però anche un Ambrì che, chiamato a crescere e a prendere il passo della “nuova” National League, è inciampato qualche volta di troppo. Non è mai caduto davvero, ma nemmeno ha saputo correre a tutta forza.