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Interviste

Gianinazzi: “Guardiamo a lungo termine per ricostruire l’identità che merita il nostro club”

Il coach dopo il primo allenamento: “La struttura di gioco sarà ben chiara, ma i giocatori saranno liberi di usare i loro istinti per leggere le varie situazioni. Se si impone troppo ai singoli, si vanno a limitare le loro caratteristiche”

LUGANO – Solitamente le cose funzionano al contrario, ma Luca Gianinazzi ha condotto il suo primo allenamento con il Lugano dopo aver guidato la squadra nella sua prima partita. È dunque da lunedì che inizia davvero il nuovo percorso del club bianconero, che vuole ripartire dalle idee e dalla carica di un coach giovane e con tanta voglia di mostrare le sue qualità.

“Il primo allenamento è andato molto bene. Sono soddisfatto dell’entusiasmo che ho subito visto sul ghiaccio”, ci ha spiegato un sorridente Gianinazzi. “Naturalmente ci vorrà del tempo, abbiamo iniziato a fare un piccolo primo passo in avanti ma il lavoro sarà a lungo termine. Non mi concentro troppo sulla partita di venerdì, ma su una prospettiva più ampia in termini di identità di squadra e di gioco che vogliamo portare sul ghiaccio”.

Quali sono dunque i primi passi che vuoi fare con il gruppo?
“Ho il vantaggio di conoscere bene alcuni giocatori, mentre altri non li conosco per niente, dunque la prima cosa sarà quella di stabilire un contatto con tutti, in primis come persone. Penso sia importante avere un rapporto personale con ognuno, così da poterci parlare in maniera onesta, non solo da un punto di vista sportivo. Ogni giocatore è una persona, e per me questo è centrale”.

Ti ritrovi in uno spogliatoio con diversi giocatori più vecchi di te, alcuni con alle spalle carriere importanti… Una sfida aggiuntiva?
“Questo è un aspetto che sinora non ho sentito per niente, non è una cosa che i giocatori mi hanno trasmesso oppure fatto pesare. Il mio approccio è quello di una persona che vuole progredire, non credo di essere arrivato in prima squadra già imparato dunque ho bisogno di parlare con i giocatori più esperti per apprendere anche da loro. Allo stesso tempo però penso di poterli aiutare, sono al servizio dello spogliatoio per cercare di fare bene”.

Nelle tue prime interviste hai parlato di “creatività”, lasciare più libertà ai giocatori renderà meno complicato passare dal sistema precedente al tuo?
“Anche con me la struttura di gioco sarà ben chiara, naturalmente i giocatori non potranno fare ciò che vogliono. Anche perché un’impostazione del genere non sarebbe efficiente, mentre noi vogliamo scendere in pista per avere dei risultati. Quando parlo di “creatività” mi riferisco soprattutto all’istinto. All’interno di una struttura ben stabilita i vari elementi hanno l’opportunità di leggere determinate situazioni… Io credo che ad esempio Mirco Müller, se ha giocato in NHL, è anche grazie alla sua capacità di lettura del gioco. Se dovessi imporgli cosa fare, andrei a togliergli questa sua caratteristica. Voglio insomma lasciare la libertà di fare le letture sul ghiaccio, ma chiaramente nell’ambito di un sistema forte e condiviso da tutti”.

Con te in panchina i giovani avranno un occhio di riguardo?
“Per assurdo, ti rispondo di no. Voglio avere lo stesso sguardo con tutti. Il vantaggio per i nostri giovani è che li conosco molto bene, dunque per loro è qualcosa di positivo visto che non capita spesso che il coach della prima squadra abbia una conoscenza così approfondita. Ma questo non significa che le porte saranno spalancate, il posto andrà meritato e dovranno continuare a lavorare. Non è facile giocare in National League ed i giovani che ce la fanno sono pochi, il livello è alto”.

Devi ora determinare il tuo staff, che tipo di profilo cerchi?
“Questa è una domanda complessa. L’aspetto principale è quello di trovare qualcuno che ha la mia stessa visione, ma che non per forza condivida tutte le mie idee. Ci vuole insomma una figura che possa sfidarmi e portare esperienza, ma che allo stesso tempo condivida la mia prospettiva di gioco e di identità di squadra. Questo è il profilo che stiamo cercando”.

In molti confrontano la tua situazione con quella di Luca Cereda, ma le similitudini in fondo non sono poi molte…
“Capisco benissimo la battuta, abbiamo lo stesso nome e siamo entrambi ticinesi. Abbiamo però fatto un percorso diverso, Cereda è arrivato in prima squadra diversamente ed il nostro background come giocatori è ovviamente differente. Non credo dunque che siamo uguali, e lo dico per evidenziare il mio rispetto per Luca che ho avuto anche come coach. Non abbiamo lo stesso stile nell’allenare, ma sono molto felice che – considerando Croci-Torti – siamo ora tre coach ticinesi alla guida dei club di punta. Trovo sia una cosa bellissima, ma il paragone con Cereda per me non ha senso”.

Dal tuo essere un ragazzo del posto il Lugano deve ripartire per tornare a creare un certo tipo di ambiente ed identità, in un club che da questo punto di vista da qualche anno si è perso…
“Io spero, e sono convinto, che il club mi abbia scelto per le mie qualità come allenatore, e non perché sono ticinese. È però vero che un punto fondamentale è il fatto che personalmente ho molto a cuore il Lugano, come tutti i tifosi che sono in Curva Nord e tutte le persone che erano arrabbiate per la situazione che si era venuta a creare. Per me questa squadra non è come tutte le altre, allenarla è qualcosa di speciale e l’obiettivo numero uno è riportare entusiasmo all’interno dello spogliatoio, tra la dirigenza e nella tifoseria. La realtà è che manca qualcosa, dobbiamo lavorare per riportare il calore a Lugano, perché qui c’è una tradizione che se lo merita”.

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