Dopo ogni weekend di campionato HSHS vi proporrà una rubrica “semiseria” dedicata agli ultimi impegni di Ambrì Piotta e Lugano, da cui abbiamo tratto una serie di spunti che vi lasciamo di seguito.
Verranno selezionati cinque episodi o fatti interessanti che hanno caratterizzato i match delle squadre ticinesi, a volte con l’obiettivo di analizzare quando successo sul ghiaccio, altri semplicemente per strapparvi un sorriso!
1. La prima volta non si scorda mai
Un derby contro l’Ambrì Piotta, il primo casalingo, una partita che avrebbe visto la Cornèr Arena di nuovo piena di gente come non capitava da più di due anni, un derby che per il Lugano si trattava di giocare quasi in trincea.
Così ha esordito da titolare Davide Fadani con la maglia del Lugano dopo i vari spezzoni di partita a cui era abituato, e l’italiano si è portato a casa la vittoria subendo una sola rete durante la sua magica serata. Se le prime volte non si scordano mai, questa rimarrà impressa nella pietra.
2. Oltre la soglia di dolore
Quando si accetta di giocare per un coach come Chris McSorley bisogna mettere in conto di doversi sporcare le mani e di curarsi i lividi. Il canadese fa della filosofia “tutto per la squadra” la sua base del gruppo e nel derby i bianconeri hanno interpretato al meglio il pensiero, in una partita che è stata una vera battaglia.
Saranno diversi i giocatori del Lugano che domenica si sono svegliati con le botte lungo tutto il corpo, a partire da un Mirco Müller che ha bloccato 7 tiri, un Chiesa che oltre ai blocked shots è andato a cercarsele nello slot per proteggere Fadani, e persino i vari Boedker, Fazzini e Arcobello si sono gettati sul ghiaccio a più riprese per intercettare i tentativi biancoblù. E questo renderebbe fiero qualunque allenatore.
3. L’aria fresca dell’autunno
Chissà se riuscirà finalmente a mantenere un certo livello di prestazioni Mikkel Boedker dopo un derby che lo ha visto finalmente protagonista dopo mesi (primaverili, estivi e autunnali) di anonimato. Malignamente si potrebbe pensare che le conferme da parte di Domenichelli sull’arrivo di forse due stranieri offensivi ha fatto sentire quella brezza fredda sul collo del danese che non è solo l’aria dell’autunno che sta prendendo possesso di queste giornate di ottobre.
L’attaccante invece afferma che sono periodi così, “dove il disco può entrare oppure no”, ma la prestazione diametralmente diversa rispetto alle precedenti di sabato però non è stata solo questione di un disco che entra oppure no, c’era molto, molto di più. Ora il passo più difficile, confermare questo trend al rialzo per dimostrare che non è stata solo una fiammata di foglie secche.
4. Punti da chiarire
L’ingaggio di Leland Irving da parte del Lugano è stato spiegato in più modi dal direttore sportivo bianconero Hnat Domenichelli, dal voler comunque avere a disposizione tre portieri durante l’assenza di Schegel, per proteggere i due giovani Fatton e Fadani da un periodo che potrebbe farsi pesante per il loro sviluppo al voler avere un back up anche nel postseason in caso di bisogno.
Probabilmente le ragioni del suo ingaggio riguardano un po’ tutti questi fattori nelle idee dello staff del Lugano, ma sul piano comunicativo la faccenda non è stata gestita nel migliore dei modi, e ha contribuito ad alimentare le piccole polemiche degli scorsi giorni con le varie motivazioni arrivate a media e tifosi un po’ a spezzoni. Nulla di gravissimo, ci mancherebbe, ma è anche su queste piccole cose che occorre fare molta attenzione.
5. Dr. Jekyll & Mr. Hyde
La trasformazione del Lugano nella creatura voluta da Chris McSorley non è facile da attuare, lo si sapeva, ma questo non tocca tanto (o solo) il sistema di gioco in particolare ma tutta una mentalità, che è la più difficile da cambiare. Lo si è visto ancora anche nella trasferta di Berlino in CHL, quando si è rivisto il “vecchio” Lugano, passivo e poco incisivo.
Per anni, sin dall’arrivo di Doug Shedden e passando da Greg Ireland fino a Serge Pelletier, la squadra bianconera si è basata su una mentalità di approccio alle partite che lasciava volutamente le iniziative all’avversario e prevedeva poco possesso del disco, appoggiandosi sulle prestazioni dell’asse Merzlikins – Furrer – Hofmann – Klasen – Lapierre, cercando poi di adattarsi con scarso successo ai loro sostituti, portieri a parte.
Tirare fuori da una squadra una mentalità radicata in 7 anni e trasformarla nel suo contrario, in un gruppo chiamato al forecheck continuo e al soffocamento del gioco avversario e quindi in squadra “attiva” richiede molto più tempo che insegnargli nuovi schemi di gioco, e le facce vecchie del Lugano continueranno a palesarsi qua e là, fino al raggiungimento dell’obiettivo.