Ci vorrà ancora del tempo per vedere completarsi la squadra che l’Ambrì Piotta manderà in pista per la prima stagione nella nuova pista, ma una pedina fondamentale è già stata posizionata nello scacchiere biancoblù.
L’ingaggio del centro danese Peter Regin porterà leadership, solidità ed esperienza alla squadra di Luca Cereda, oltre a permettere al giocatore di vivere un’avventura che era nei suoi pensieri oramai da diversi anni.
“Uno dei miei obiettivi in carriera è sempre stato quello di riuscire a giocare in Svizzera”, ci ha spiegato Regin. “Prima di trasferirmi allo Jokerit – sei anni fa – c’erano state delle discussioni, ma poi è arrivata l’opportunità ad Helsinki e le cose in quel momento non erano funzionate. Ho amato particolarmente il mio periodo in Finlandia, ma all’età di 35 anni ho realizzato che se volevo raggiungere la mia ambizione di giocare nel vostro campionato, questo era il momento”.
Peter Regin, da cosa è nato questo obiettivo?
“La Svizzera è sempre stata nei miei sogni perché, oltre ad essere un paese stupendo, vanta una lega di assoluto livello. Quando giocavo al Timra, in Svezia, mi ricordo di aver fatto un campo di allenamento a Lugano ed ero rimasto colpito dalla bellezza del paesaggio. Ovviamente mi rendo conto che si tratta di una lega difficile in cui competere, anche per il limite di quattro stranieri, e non per caso vi militano tra i giocatori più forti d’Europa. Ottenere un posto in un campionato del genere è sempre stata una sfida che mi attirava”.
L’Ambrì punterà su di te principalmente per la tua leadership, cosa possono aspettarsi i tuoi futuri compagni?
“Semplicemente cerco di essere me stesso, e farò così anche quando raggiungerò la mia nuova squadra. Nello spogliatoio e sul ghiaccio porto tanta personalità, e quando è il momento di allenarsi e giocare assicuro il massimo della professionalità… La mia speranza è sempre quella di risultare contagioso per il resto del gruppo. Nel corso della mia carriera sono stato capitano per tante stagioni, sia a livello di club che in nazionale, ed è sempre stato un ruolo che mi è venuto naturale… Non mi ritrovo a riflettere su cosa dovrei dire in un determinato momento, cerco solo di essere genuino e onesto. Questo è il modo migliore di essere un leader ed è ciò che voglio diventare per l’Ambrì, indipendentemente dal fatto di portare o meno una lettera sulla maglia”.
Pensando invece al tuo gioco, credi che possa sposarsi bene con lo stile che l’allenatore vuole portare sul ghiaccio?
“Credo di sì. So che l’Ambrì è una squadra che lavora molto duramente, c’è tanta passione grazie anche ad un’eccezionale spinta del pubblico, atmosfera che si spera di portare nella nuova arena. In merito al mio gioco, se ripenso alla mia carriera vedo effettivamente delle differenze, visto che quando ero più giovane puntavo specialmente sulla tecnica e cercavo di segnare quei gol che poi finivano nelle highlights, mentre ora mi concentro maggiormente sulle responsabilità che derivano dal mio ruolo d’esperienza. Sono un centro prevalentemente two-way, ma non ho perso il piacere di essere un elemento offensivo e cerco sempre di creare giocate pericolose. Da quanto conosco del gioco di Cereda, penso che sono maturato in un modo che mi permetta di integrarmi bene, ed è quello che il club si aspetta da me… Non mi verrà chiesto di arrivare in squadra ed essere il miglior marcatore della lega, ma bensì di aiutare l’Ambrì a vincere più partite possibile”.
Hai alle spalle sei stagioni in KHL, pensi di dover adattare il tuo gioco per un hockey svizzero che è particolarmente veloce?
“Sicuramente ci saranno alcune differenze. Come hai detto il gioco ha un ritmo più serrato e probabilmente anche più aperto rispetto alla KHL, dove si punta su uno stile molto “pesante” e fisico, specialmente davanti alla porta… Ho incontrato alcuni difensori russi davvero mostruosi (ride, ndr). Nel corso degli ultimi anni ho comunque seguito da vicino l’hockey svizzero, e la mia impressione è che ci sia qualche spazio in più a risultato di una grande velocità. Probabilmente mi ci vorrà un po’ di tempo per abituarmi, ma immagino delle situazioni di gioco molto simili ai Mondiali, dunque questo passaggio non mi preoccupa molto”.
In stagione hai mancato diverse partite per una commozione cerebrale, che segnali ti ha dato il tuo corpo ora che è passato un po’ di tempo?
“Mi sento bene. Sono rimasto fuori per alcune settimane, ma il tutto era principalmente precauzionale… Non volevamo prenderci ulteriori rischi, visto che ad inizio stagione avevo firmato un nuovo contratto con lo Jokerit piuttosto tardi e poi ho preso il coronavirus ad inizio novembre, dunque già in quella fase ho mancato praticamente un mese per via anche delle difficoltà di spostamento in Russia. È stata sicuramente una stagione strana, non ho mai preso davvero il ritmo e dunque quando ho rimediato la commozione non aveva molto senso forzare il mio rientro. Questo però mi ha dato il tempo necessario per guarire completamente ed accertarmi con i medici che tutto fosse a posto”.
Hai menzionato Lugano, dove ora gioca il tuo connazionale Mikkel Boedker…
“Ho sentito Mikkel l’ultima volta la scorsa estate, ma non l’ho chiamato prima di prendere la decisione di trasferirmi ad Ambrì. Ho però chiesto consiglio ad alcuni giocatori che sono passati in Svizzera negli scorsi anni e che erano con me allo Jokerit, come Haapala che era a Lugano – e mi ha raccontato del derby – oppure Joensu che aveva militato a Berna. Da loro volevo avere un feeling generale, ma con Duca avevo già parlato alcuni anni fa e siamo rimasti in contatto… Abbiamo una buona relazione e dunque so esattamente cosa mi aspetta”.
Tra qualche mese diventerai papà, quella di raggiungere il Ticino è stata per te anche una decisione famigliare?
“Non esclusivamente, anche se la Svizzera rappresenta per me un bonus in questo senso. Tutti sappiamo che la KHL è una lega molto dura in cui giocare, non tanto per le partite ma piuttosto per gli spostamenti ed i cambi di fuso orario… Ci sono voli di 12 ore per arrivare ad esempio a Vladivostok oppure in Cina, dove ti ritrovi con una differenza d’orario di 10 ore rispetto ad Helsinki. Dopo sei anni in questo contesto per me era arrivato il momento di provare qualcosa di diverso”.