FRIBORGO – LUGANO
4-2
(1-0, 0-1, 3-1)
Reti: 5’16 Mottet (Gunderson, DiDomenico) 1-0, 35’20 Wolf (Nodari, Suri) 1-1, 49’27 DiDomenico (Sutter, Berra) 2-1, 49’57 Stalberg (Mottet, Gunderson) 3-1, 58023 Fazzini (Arcobello, Loeffel) 3-2, 58051 Marchon (Stalberg, Gunderson) 4-2
Note: BCF Arena, 5’160 spettatori. Arbitri Tscherrig, Fluri; Wolf, Betschart
Penalità: Friborgo 2×2′, Lugano 4×2′
Assenti: Jani Lajunen, Raffaele Sannitz, Thomas Wellinger (infortunati), Julian Walker (ammalato)
FRIBORGO – Una squadra non si costruisce in due giorni, ma tanti bastano a mettere in evidenza dove occorre ancora mettere i mattoni. Il Lugano di Serge Pelletier ha mostrato così di non essere ancora maturo dal lato della personalità, alternando tra venerdì e sabato due prove diametralmente opposte, un po’ quello che si era visto nel primo fine settimana di campionato.
Non stiamo qui a mettere peso eccessivo sui zero punti in due partite (che comunque felici non fanno nessuno se non gli avversari dei bianconeri) ma occorre analizzare le varie facce mostrate da Arcobello e compagni.
Se contro lo Zugo la prestazione – e che prestazione a tratti – non era mancata, contro un Friborgo non certo irresistibile e che ha vissuto come spesso ci ha abituato sulle folate nervose di pochi interpreti, il Lugano ha perso il filo del discorso, non sapendo più come tenere i comandi in mano, andando un po’ di acceleratore e un po’ di freno, senza mai trovare la marcia giusta.
Forse è anche vero che già negli ultimi anni i bianconeri hanno sofferto spesso il Gottéron (playoff a parte) proponendo sulla pista friborghese alcune delle peggiori prove di stagione in stagione, ma una squadra come quella di questa stagione ha i mezzi per non farsi “fregare” in queste maniere, pur sempre con il rispetto di un avversario pericoloso e combattivo.
Alla BCF Arena Loeffel e banda hanno perso quasi subito le posizioni giuste, allungando eccessivamente la squadra suo ghiaccio e facendosi sempre portare al largo dallo slot, cercando poi troppo spesso la soluzione personale. Le occasioni anche sabato sera non sono mancate e Berra è stato protagonista a lunghi tratti soprattutto dopo il pareggio di Wolf, ma aldilà di questo la compattezza è venuta meno.
Poca brillantezza sui pattini, riferimenti persi spesso sulle folate spesso confusionarie del Friborgo, e poche vie di tiro dirette e centrali, tanto che è stato un appoggio apparentemente innocuo di Wolf con Berra coperto a dover smuovere gli ospiti. Pareggiati i conti il Lugano è sembrato poter prendere in mano la situazione, con un forcing incredibile sullo scadere del secondo periodo e continuato con una buona scia all’inizio del terzo, senza però cavare un ragno da buco.
E poi ci si mettono anche gli errori individuali e “tattici”, da un box play disastroso (venerdì Hofmann ci aveva messo 3 secondi a segnare, Mottet e Stalberg 5 rispettivamente 8 secondi…) e di un Zurkirchen punito duramente al primo errore, anche se piuttosto grave in quel contesto.
Si può anche recriminare un po’ sulla mancanza della famosa “puck-luck”, ma nemmeno troppo, dato che sui duelli individuali e nello slot a prevalere è stato spesso il Friborgo, con Carr, Morini, Chiesa e in parte Traber gli unici a saper dominare fisicamene gli avversari alle assi e davanti ai portieri.
Mettiamoci pure che dietro a un Arcobello straordinario mancano gli spunti di un Boedker ancora troppo impreciso e approssimativo (suo l’errore che in 6 contro 5 lancia il 4-2 definitivo) e che aldilà di un lavoro sempre apprezzabile manca della necessaria determinazione ed esplosività, lasciando pure un power play zoppicante e macchinoso.
Più in ombra anche la linea di Kurashev, con Carr di nuovo “prestato” al primo blocco al posto di Fazzini per cercare altra sostanza, e in generale troppa discontinuità anche da Heed, il quale alterna colpi d’occhio di alto livello a errori fin troppo banali.
Il quadro generale è chiaro, il Lugano in questi casi deve pattinare di più e meglio, e per applicare il proprio gioco e sfruttare l’enorme potenziale deve ritrovare la compattezza e la velocità d’esecuzione con il disco sul bastone, quello messo in pratica già solo 24 ore prima contro lo Zugo e solo per alcuni periodi sabato alla BCF Arena, mancando soprattutto nel controllo del match e delle situazioni venutesi a creare.
Alla squadra di Pelletier occorre una crescita anche sul piano della personalità a livello generale, perché se è facile esaltarsi di fronte a certi avversari, i bianconeri non possono permettere che il timore abbia la meglio contro avversari – oltretutto falcidiati dalle assenze – ampiamente alla portata come il Gottéron, nonostante ancora una volta siano stati i bianconeri ad avere le occasioni migliori.
È proprio vero che una squadra non si costruisce in due giorni, perché l’identità è una cosa che si costruisce con il tempo. Per ora non ce la sentiamo di mettere una fretta eccessiva ai bianconeri, di cosa sono capaci lo hanno già dimostrato, ora sono chiamati a lavorare sulla continuità e su quelle lacune che stridono eccessivamente.
IL PROTAGONISTA
Nathan Marchon: Schierato tra Stalberg e Brodin, il centro friborghese ha giocato una partita di alta qualità, lavorando a tutta pista per oltre 22 minuti e rendendosi spesso pericoloso con le sue incursioni nello slot.
Preziosissimo pure agli ingaggi e, con oltre il 60% di riuscita, ha messo in difficoltà le ripartenze del Lugano, impedendo nel contempo che i bianconeri potessero installarsi nel terzo difensivo dei dragoni vincendo diversi duelli contro i primi centri ospiti.