LUGANO – BIENNE
6-2
(2-1, 3-0, 1-1)
Reti: 00’28 Hofmann (Lapierre, Furrer) 1-0, 00’42 Walker (Vauclair) 2-0, 18’45 Lofquist (Rajala) 2-1, 28’38 Bertaggia (Lapierre, Cunti) 3-1, 38’42 Cunti (Johnston, Sanguinetti) 4-1, 39’57 Bertaggia 5-1, 55’43 Bertaggia (Morini, Johnston) 6-1, 57’07 Wetzel (Sutter, Pedretti) 6-2
Note: Resega, 7’200 spettatori (tutto esaurito). Arbitri Wehrli, Koch; Obwegeser, Kovacs
Penalità: Lugano 4×2′, Bienne 6×2′
LUGANO – Alzi la mano chi, al 25′ di Gara 3 a Bienne, con i locali in vantaggio 3-0 in partita e in quel momento pure virtualmente 3-0 nella serie, avrebbe scommesso un solo centesimo sulla rinascita, così veemente e autoritaria del Lugano fino ad essere alle 23 di sabato a festeggiare l’approdo in finale.
Forse qualche tifoso dei più accaniti, gli inguaribili ottimisti, fatto sta che in quel momento il Lugano sembrava un pugile suonato, con l’allenatore pronto a gettare la spugna sul ring.
Ma la fortuna del Lugano è che il coach che lo guida, di spugne non ne getterebbe sul ring – inteso come pista di ghiaccio – nemmeno sotto tortura, e questa sua convinzione è riuscito a trasmetterla al suo gruppo. Ed è bastato che il Lugano trovasse con Reuille quel famoso gol in shorthand per ribaltare ogni cosa, partita, serie, emozioni, paure, coraggio.
Tutto a un tratto il castello di Törmänen ha cominciato a vacillare, i mattoni hanno mostrato crepe importanti, la struttura ha iniziato insomma a piegarsi su se stessa sotto i colpi di una squadra finalmente da playoff.
Questo doveva fare il Lugano, tirare fuori quell’indole da playoff che gli aveva permesso di superare i primi ostacoli, una mentalità costruita sulle macerie di stagioni disgraziate, rimesse assieme con la forza della disperazione. Tutto si è ribaltato si è detto, e il Bienne, squadra che per gli ultimi 2/3 di campionato ha giocato con una fiducia nelle proprie mani da fare invidia a maestri Zen, non è più stato in grado di mettere assieme una sola partita convincente e vincente.
Il Lugano ha messo in tavola tutte le sue carte migliori – quelle disponibili – e con i muscoli ha fatto indietreggiare i baldanzosi attaccanti avversari, con la testa si è sempre imposto come la squadra migliore e con la pazienza e l’esperienza ha affondato i colpi decisivi.
Quattro partite di fila vinte in semifinale dopo essere stato in svantaggio di due non è un giochetto che riesce tutti i giorni, oltretutto sempre con qualche assenza pesante, soprattutto contro la propria bestia nerissima, quella che sembrava avviata verso una cavalcata spettacolare e inscalfibile per la finale.
Invece quando il Lugano è stato capace di accendere la propria luce ha tolto la corrente all’avversario, occupato a prendere botte da Lajunen e Walker, a rincorrere Furrer, Lapierre e Hofmann e pure a incassare le reti di vecchi maestri da playoff come Reuille e Sannitz. Non di meno a fare ancora la differenza è stato anche Merzlikins, di nuovo superiore in ogni stadio di Hiller (e Paupe) vincendo nettamente il duello contro l’ex Calgary Flames come già era successo contro il Friborgo di Brust.
Venendo a Gara 6 c’è solo una cosa da rimarcare, l’entrata in materia completamente diversa di Lugano e Bienne, con i bianconeri in doppio vantaggio dopo soli 42 secondi, quasi fossero loro a dover dare tutto per rientrare. Questo la dice lunga su come le squadre si siano scambiate i ruoli definitivamente e soprattutto i loro stati d’animo, una volta che Hofmann e compagni hanno trovato le contromisure tattiche, per i seeländer c’è stato ben poco da fare.
Anche nell’ultimo match della serie, a parte quella “dormitna” sul 2-1 ospite e qualche brivido successivo, la maggior fame (ecco un’altra differenza) del Lugano ha prodotto le reti che lo hanno portato fin sul 5-1, lasciando senza storia più di 2/3 di partita, i giochi erano ormai fatti.
Ora l’ultimo passo, quello più difficile, ovviamente. A Lugano lo sanno, quel passo in più manca da troppo tempo e la finale di due anni fa grida ancora vendetta. Forse può essere diverso, lo sarà l’avversario, gli ZSC Lions, lo sarà il Lugano, quello di Greg Ireland.
IL PROTAGONISTA
Alessio Bertaggia: All’improvviso il numero 10. Da tempo non si vedeva il figlio d’arte ispirato in tale maniera.
La sua velocità – per una volta non solo fine a se stessa – ha mandato completamente in tilt la difesa del Bienne e le sue prime due reti da attaccante nato sono due episodi che al pubblico della Resega mancavano. Ma soprattutto sono quelle che hanno chiuso la sfida e mandato il Lugano in finale.
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