LUGANO – Il Lugano ha la grande opportunità di ospitare un portiere di classe mondiale come Roberto Luongo per i prossimi giorni. Tornato nel finale dello scorso campionato ai Florida Panthers dopo diverse stagioni ai Vancouver Canucks – con cui è andato ad una sola vittoria dalla Stanley Cup – Luongo ha fatto visita al fratello Leo alla Resega, rendendosi protagonista del suo primo allenamento sul ghiaccio bianconero nella mattinata di martedì.
Al termine della sessione abbiamo avuto occasione di fare un’interessante chiacchierata con lui, scambiando opinioni e facendoci raccontare diversi aspetti della sua carriera.
Come è nata l’idea di venire ad allenarti qualche giorno a Lugano? È stata una tua iniziativa o di tuo fratello?
“È stato mio fratello Leo ad invitarmi a Lugano per allenarmi con lui per una settimana. Ho subito pensato fosse una buona idea, questo mi dà la possibilità di lavorare un po’ con lui e di dare il via al meglio alla mia estate di allenamenti. Ho dunque deciso di accettare la sua proposta e finora sono davvero contento di averlo fatto!”.
È la prima volta che ti alleni con tuo fratello?
“No, abbiamo già lavorato assieme in passato, soprattutto durante l’estate. Solitamente passiamo un po’ di giorni sul ghiaccio a Montreal oppure quando viene a farmi visita in Florida. Posso però dire che oggi è decisamente un allenatore migliore rispetto a quanto non fosse fino a qualche anno fa”.
Per diversi anni sei stato sotto la lente dei media canadesi… Questo ambiente con così tanta pressione è qualcosa che sei riuscito ad apprezzare e da cui hai potuto trarre energia?
“La pressione è qualcosa che devi imparare ad accettare in una realtà come Vancouver. Quando giochi non ci pensi, anche se ovviamente fa parte della tua vita giorno dopo giorno. È comunque un fattore che impari a gestire e non si trasforma in un problema. Ovviamente quando le cose non vanno bene può diventare pesante, ma sono proprio quelli i momenti in cui devi reagire e pensare solamente a giocare”.
Sei partito da Vancouver prima di un terremoto, dal licenziamento di Tortorella e Gillis, sino alla nomina come presidente di un’icona come Trevor Linden… Cosa pensi della direzione che stanno prendendo i Canucks?
“Non saprei, oramai non mi trovo più lì. Chiaramente ci sono stati molti cambiamenti e credo che ora in carica ci siano delle figure molto valide. Spero che la passata stagione sia stata solamente un’anomalia e che tornino sui binari giusti qualificandosi per i playoff il prossimo anno”.
Durante il lockout il tuo ex compagno Cory Schneider ha giocato per l’Ambrì Piotta… Come ti ha descritto questa sua esperienza?
“Gli è piaciuta molto. Lui è un mio caro amico e mi ricordo quando mi aveva contattato per farmi sapere che sarebbe venuto in Svizzera a giocare, raccontandomi poi anche della Coppa Spengler. Ha davvero apprezzato il periodo passato qui e gli ha fatto bene sotto molti aspetti”.
Quando eravate a Vancouver le controversie tra portieri erano all’ordine del giorno… Non hai mai pensato di raggiungerlo alla Valascia e lottare per strappargli il posto da titolare?
“Ah ah no, quello gliel’ho concesso volentieri. Ho preferito stare comodamente a casa a guardare la televisione durante il lockout”.
Scherzi a parte, parlando di Schneider – ma anche di Eddie Lack – hai sempre avuto un ottimo rapporto con i tuoi compagni di reparto… Ti sei sentito un “mentore” nei loro confronti?
“Sì, credo di sì. In entrambi i casi ero al loro fianco sin da quando sono saliti in NHL ed erano dei rookie. Ho sempre cercato di comportarmi nella giusta maniera per essere d’esempio, dimostrandomi professionale dentro e fuori dal ghiaccio. Credo che abbiano accolto alcuni di questi aspetti per approcciarsi meglio al gioco. Penso di aver fatto un bel lavoro, visto che entrambi hanno finito per rubarmi il posto da titolare (ride ndr.)”.
In NHL hai avuto modo di confrontarti con diversi giocatori rossocrociati… Cosa ne pensi del livello attuale dell’hockey svizzero?
“Credo che la vostra sia una realtà molto solida e che è migliorata sempre di più nel corso degli anni. Ogni volta che ho vestito la maglia del Team Canada ed incontravamo la Svizzera, si trattava sempre di una partita di cui ci preoccupavamo, questo perché – nonostante tutti pensassero che fosse nostro compito batterli in ogni occasione – sapevamo che avremmo incontrato una squadra che lavora duro e che ci avrebbe dato filo da torcere”.
Recentemente la rivista Sportsnet Magazine ti ha definito “The funniest man in hockey”, questo grazie ai tuoi tweet… Qual è la tua relazione con i social media e come pensi abbiano cambiato il modo in cui i giocatori interagiscono con i fans?
“Credo che mi diano la possibilità di mostrare ai fan che tipo di persona sono veramente. A volte quando ti ritrovi a concedere interviste di fronte alle telecamere la gente non riesce a vedere davvero la persona che si nasconde oltre il giocatore… Si cerca sempre di dare delle risposte dirette e politicamente corrette. Su Twitter ho un po’ più di libertà, soprattutto considerando che inizialmente non avevo dichiarato apertamente che l’account “@Strombone1” appartenesse a me. Questo mi permette di essere me stesso”.
In Twitter hai reagito al tuo trade ai Panthers tweettando una palma. Quando Ryan Miller è stato scambiato a Vancouver hai invece postato degli ombrelli… Ipoteticamente, quale sarebbe il tuo primo tweet se dalla Florida dovessi venire a giocare in Svizzera?
“Non so… Forse l’icona della croce rossa, che ricorda molto la bandiera svizzera. È difficile rispondere, non ci ho mai pensato… Sono cose che vengono d’istinto, ma sono sicuro che penserei a qualcosa di decisamente carino anche in quel caso”.
Per concludere una curiosità: come mai il nome “Strombone1” su Twitter?
“È un’espressione che usavo con i miei amici quando ero bambino. Non posso dirti cosa significa, ma usavamo spesso quella parola e mi è rimasta in mente”.