BERNA – Lunedì sera alla PostFinance Arena era possibile incontrare personaggi che hanno fatto la storia dell’hockey nordamericano, come i vari Martin Brodeur, Ken Daneyko oppure Ray Shero, ma a tutti loro si è aggiunto un nome che in Svizzera ed in Ticino è ricordato con particolare affetto.
Quasi a sorpresa, Gates Orlando si è presentato in sala stampa con il sorriso sulle labbra, pronto a raccontarsi nelle vesti di scout dei New Jersey Devils, ruolo che ha rivestito in misure diverse nel corso dell’ultima quindicina di anni.
Il suo più grande input per la franchigia di Newark è però recente, e coincide con il parere decisivo che ha avuto nell’individuare in Nico Hischier l’opzione giusta per la prima scelta assoluta nel Draft 2017.
“Ho avuto un ruolo importante nella decisione di scegliere Nico come first overall”, ha spiegato il 55enne italocanadese. “Nel nostro gruppo di scout eravamo convinti che lui fosse il giocatore migliore per noi, e personalmente ho capito che lo avremmo scelto la sera stessa in cui abbiamo avuto il primo colloquio… Non è solamente un ottimo attaccante, ma anche e soprattutto una bravissima persona, molto modesta. Questo è il profilo che un’organizzazione vuole per un suo futuro leader”.
Non c’è dunque stato alcun dubbio? Poter scegliere in quella posizione non capita spesso…
“Con Nico c’è stato un collegamento immediato, a maggior ragione visto che la sera in cui l’abbiamo incontrato per la prima volta è venuto a cena accompagnato dal suo agente, Gaetan Voisard… Come ben sapete, io e lui abbiamo giocato assieme a Berna e Lugano, dunque le cose sono andate ancora più facilmente del previsto. Dopo quell’incontro nella mia mente era già chiaro che avremmo usato la prima scelta assoluta su di lui”.
A livello personale quali sensazioni provi quando torni in Svizzera?
“Amo davvero poter tornare nel vostro paese. A Berna ho vissuto degli anni favolosi, questo nonostante fossimo riusciti a vincere un solo titolo… Ad oggi rimango convinto che avremmo dovuto alzare la coppa qualche volta in più. Nel mio unico anno in bianconero abbiamo invece centrato l’obiettivo. Sono stato fortunato ad avere attorno a me delle persone che hanno avuto fiducia nelle mia capacità e mi hanno portato in Svizzera, come Bill Gilligan e Brian Lefley, che hanno preso un grosso rischio nel puntare su un giocatore italiano. Ho dato del mio meglio e le cose sono andate bene. A Lugano invece era stato Jim Koleff a volermi fortemente… Con lui la missione era quella di vincere, ed abbiamo vinto”.
Alcuni anni fa hai vinto la tua battaglia più grande, ed oggi sei qui grazie ad un trapianto di cuore…
“Devo essere onesto, ho una grandissima gratitudine per il solo fatto di essere ancora vivo. Ho vissuto dei periodi in cui le cose non promettevano troppo bene, ma l’hockey ha sempre fatto parte della mia vita e poter tornare a lavorare in questo ambiente dopo quello che ho passato ha rappresentato una via di fuga per me. Questo è il mondo in cui mi sento felice. Ora sono tornato alla completa normalità, anche se forse dovrei perdere un po’ di peso (ride, ndr)”.
Con quanta attenzione segui ancora la NLA?
“Tantissima, seguo il campionato svizzero ad ogni singola partita. Ogni giorno entro sul sito della SIHF e scorro i risultati, e a volte mi sorprendo vedendo i nomi di alcuni giocatori e mi dico “oh mio dio, ma sta ancora giocando?!?”. Alcune sere fa sono uscito a cena ed ho incontrato Patrick Fischer e Marcel Jenni, che erano miei compagni a Lugano, e ho saputo sorprenderli perché li ho sempre tenuti d’occhio e sapevo tutto quello che hanno fatto negli ultimi anni”.
Ai tuoi tempi vedere degli svizzeri in NHL era una rara eccezione, mentre oggi è quasi una regola. Le cose sono decisamente cambiate…
“Il fatto di avere sempre più giocatori rossocrociati in NHL è un tributo all’evoluzione che lo sport ha avuto nel vostro paese. Ora in Svizzera i giovani hanno la possibilità di crescere seguendo una precisa struttura, cosa che non c’era ai miei tempi, e si è così in grado di portarli ad un livello internazionale già all’età di 17-18 anni. Sfortunatamente per la Svizzera i ragazzi più talentuosi sono destinati a partire presto e giocare oltre oceano, dunque da questo punto di vista si potrebbe migliorare per cercare di trattenerli più a lungo. Per loro però fare un’esperienza immediata in Nordamerica è ottimo, basti vedere dove sono arrivati giocatori come Hischier, Müller oppure Fiala… Ma tutto questo non sarebbe possibile se non fossero stati seguiti nel modo giusto sin da bambini”.