Nella prima partita dell’anno, quella disputata il 1 gennaio tra ZSC Lions e Bienne, il tema dei coaches challenge e delle dotazione tecnologica impiegata durante le partite è tornato d’attualità.
Lo Zurigo si è infatti visto assegnato il gol decisivo dopo un challenge chiesto per una possibile situazione di offside e, considerando che le immagini non hanno potuto fugare ogni dubbio, gli arbitri hanno confermato la loro decisione iniziale. L’episodio ha provocato la reazione di Damien Brunner, che nel dopopartita aveva sottolineato la necessità di ampliare la dotazione tecnica a disposizione, installando ad esempio delle camere sulle linee blu.
Nella giornata di giovedì la National League è tornata sul tema con un articolo nel proprio blog, che vuole spiegare il senso e la filosofia che stanno dietro alla possibilità di chiamare un coaches challenge. Ne riassumiamo i contenuti di seguito.
“Si parte dal presupposto che la decisione degli arbitri in pista è quello che conta in caso di dubbio. In passato si verificavano situazioni – soprattutto di fuorigioco – in cui, dopo la segnatura di una rete, tutti concordavano sul fatto che l’azione fosse probabilmente viziata da offside. Senza la possibilità di rivedere quanto successo la rete veniva però assegnata, e l’arbitro giudicato colpevole di aver preso una decisione errata.
Proprio per questo è stato introdotto il coaches challenge, così da permettere alla squadra che ha subito la rete di correggere una violazione del regolamento che risulta evidente dalle immagini televisive.
Se le immagini non forniscono alcune prova – per via della scarsa risoluzione, a causa dell’ostruzione della visuale da parte di un giocatore, o per l’impossibilità di un’interpretazione univoca – gli arbitri si attengono alla loro decisione iniziale ed assegnano una penalità di due minuti.
La pretesa di rinunciare ai due minuti di penalità nel caso di una decisione errata che non possa essere chiaramente confutata non risolve la questione. Così facendo non si starebbe più discutendo o giudicando l’episodio in sé, bensì la conclusività o meno delle immagini a disposizione.
L’obiettivo del challenge non è quello di aggiungere sempre più telecamere a disposizione, perché questo interromperebbe in maniera più frequente il flusso di gioco. La sua introduzione ha lo scopo di correggere chiare violazioni regolamentari, ma non con l’intento di controllare ogni rete al millimetro oppure millisecondo. Altri sport stanno percorrendo questa strada, che sta portando al cambiamento del DNA dell’attività sportiva. Non vogliamo che l’hockey svizzero si sviluppi in questa direzione”.