SVEZIA – CECHIA
3-7
(2-2, 1-3, 0-2)
Reti: 3’39 Johansson 1-o, 7’48 Kubalik (Necas, Kundratek) 1-1, 8’08 Pettersson (Kempe, Eriksson Ek) 2-1, 9’37 Kampf (Necas) 2-2, 26’05 Kase (Sedlak) 2-3, 26’21 Necas (Kubalik, Kampf) 2-4, 29’03 Kubalik (Kempny, Necas) 2-5, 35’30 Eriksson Ek (Raymond, Dahlin) 3-5, 45’40 Sedlak (Kase) 2-6, 53’42 Sedlak 2-7
Note: Prague Arena, 17’413 spettatori
Penalità: Svezia 3×2, Cechia 6×2
PRAGA – Sembra tutto così perfetto, anche senza mai convincere del tutto sul piano del gioco e della disciplina, alla fine la Cechia agguanta la finale davanti al proprio pubblico a dir poco entusiasta. In una O2 Arena incandescente, Cervenka e compagni offrono una vera e propria lezione di efficienza offensiva e di determinazione alla Svezia di Sam Hallam, la selezione che alla vigilia veniva vista come la principale candidata se non direttamente per l’oro almeno per l’atto conclusivo.
Ma la squadra di casa, con dei pronostici che davano la formazione delle tre corone favorita perlomeno per come aveva condotto in maniera quasi perfetta il proprio girone, ha saputo scavalcare alcuni difetti di organizzazione puntando sull’unità di squadra, sull’orgoglio di giocare in casa propria e sulla determinazione.
Proprio quest’ultima qualità ha fatto la differenza in una semifinale partita già con il botto, quattro reti in un primo periodo anche però ricco di errori, e soprattutto da parte svedese qualche crepa doveva far suonare più di un campanello di allarme.
La selezione di Rulík ha approfittato nel secondo periodo dei primi cedimenti dell’avversario, dei buchi clamorosi cui la Svezia non ci aveva certo abituati e anche abbastanza inaspettati visto il buon periodo che stava attraversando e i grandi nomi nella difesa, da Hedman a Karlsson fino a Dahlin, il meglio che questa generazione aveva da offrire.
Eppure lo sport e l’hockey spesso esulano da pronostici e forze sulla carta, anche se la Cechia di certo non è una “squadretta”, ma quello che ha fatto di bene è stato integrare al meglio in un gruppo molto unito le star come Pastrnak e Necas arrivate in corsa, e quanto di buono possa fare la forza del gruppo la si è vista in quei terribili tre minuti del secondo periodo quando la Svezia si è letteralmente sciolta e uno in fila all’altro Kase, Necas e Kubalik hanno fatto esplodere la O2 Arena e costringendo addirittura Hallam a sostituire il portiere Gustafsson (di certo non esente da colpe) con Ersson.
Per un certo periodo la mossa sembrava aver dato i suoi frutti, la Cechia si è limitata a difendersi e la Svezia è tornata padrona del ghiaccio, ma il grande dominio territoriale non ha portato a grandi occasioni da rete se non un paio in power play, da cui comunque è scaturito il 3-5 di Eriksson Ek.
La bravura della Cechia è stata quella di non farsi intimorire dopo quel gol, continuando a difendersi con forza e senza troppi fronzoli, forse non sempre in maniera troppo ordinata e “logica”, ma il vigore fisico di Gudas e compagni ha spesso messo fine alle azioni della Svezia, caduta di nuovo in due errori di gestione che hanno prodotto le due reti identiche di Sedlak con due break solitari che hanno chiuso l’incontro.
Una grande delusione per la Svezia, non solo per l’eliminazione in sé, ma per la maniera con cui è arrivata, e la rivoluzione con alla testa colui che doveva rifare grande i gialloblù fa solo un passo avanti rispetto al passato, con una finale che manca da quattro edizioni.
Per la Cechia è stata la vittoria dell’orgoglio e del gruppo contro il pragmatismo e la tattica svedesi, andati a fondo al primo accenno di grosse difficoltà individuali. Kubalik e banda tornano in finale dopo ben 14 anni, e poterlo fare davanti al proprio caldissimo pubblico diventa sicuramente l’arma in più per una squadra forte, non perfetta, ma costituita da un gruppo fortissimo, affiatato e attaccatissimo alla propria maglia.
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