I giorni a cavallo di San Silvestro servono a stilare importanti bilanci intermedi e per tentare di immaginare quali scenari futuri possano mostrarsi nel nuovo anno. Di sicuro il Lugano può guardare all’anno nuovo con fiducia e sicurezza nei propri mezzi, acquisite grazie alla forza mentale e del gruppo dopo il terribile inizio autunno.
Quei discussi e intensi giorni in cui anche Fischer sembrava sulla graticola, ma nei quali la dirigenza ha resistito e a ragione all’ennesimo attacco di panico, mostrandosi compatta attorno al suo “prescelto”, mostrando finalmente quella unità d’intenti e di idee che nelle scorse stagioni era venuta a mancare tra i piani alti e lo staff tecnico. A Fischer sono state consegnate le chiavi di un auto potente ma assemblata male, con parti non originali o logorate, e il pilota, nonostante sia un neo patentato, ha cominciato a fare delle riparazioni costose ma essenziali. Ha potenziato il motore, abbassato l’assetto e cambiato i pneumatici, per renderla stabile nelle curve più difficili e per evitare che apparisse semplicemente come un costoso modello da esposizione.
Terminate le metafore motoristiche, oggi possiamo affermare, contrariamente al mese di settembre, che Fischer (così come Andersson, di cui parleremo più aventi nelle righe) non è più un esperimento o una semplice scommessa, ma è una realtà che tutti i tifosi bianconeri – ma non solo – sanno apprezzare e stimare.
Il coraggio avuto nell’applicare certe scelte, soprattutto nella sua posizione di neofita, è stato ripagato dai risultati, e se è vero che un paio di giocatori non possono fare la differenza è altresì plausibile che dopo le partenze di Domenichelli, Murray e Fritsche, lo staff tecnico ha avuto a disposizione una squadra più vicina al loro disegno, e dopo gli arrivi di Pettersson soprattutto e di Maurer il cambiamento di marcia e di spirito di gruppo è stato esponenziale.
Tra novembre e Natale il Lugano è stato secondo solo alla corazzata ZSC Lions in quanto a punti incamerati, ma cosa fondamentale, la squadra si è visibilmente cementificata, ha saputo fare un salto di qualità a livello mentale (leggasi: le famose sconfitte “onorevoli” tramutatesi in vittorie) a molti dei suoi componenti. Anche qui, in questa sorta di lavoro psicologico la mano di Fischer è evidente. Nel momento più buio di Metropolit in maglia bianconera, il coach non ha esitato a pungolare Pacman nell’orgoglio, ritrovandosi tra le mani – dopo cinque partite passate in tribuna, e quando tutti pensavano a un altro amaro addio – il solito fuoriclasse dispensatore di fantasia e spettacolo.
Stessa operazione applicata a Rüfenacht, che probabilmente ha risentito troppo dei malumori attorno a sé dopo la firma con il Berna, e anche il numero 9 è tornato a raschiare il ghiaccio. Pure Micflikier è passato dalla poltrona da psicologo, e le parole di Fischer sull’esclusione del canadese – “ogni tanto bisogna stimolare i giocatori, Micflikier nell’ultimo allenamento volava” – ribadiscono il concetto. Ma se qualcuno volesse la conferma sulle capacità di motivatore e comunicatore del coach basti guardare il mese di dicembre di Blatter. Bistrattato, fischiato e quant’altro, l’ex Lakers ha sfoderato delle prestazioni eccellenti, caricandosi sulle spalle il peso di un blocco soprattutto nel match contro lo Zugo alla Resega, quando a marcare assenza erano stati addirittura Hirschi, Ulmer e Schlumpf.
Questi esempi individuali accentuano la crescita del gruppo, che indubbiamente ha giovato degli inserimenti nella rosa di Micflikier e Pettersson. Il canadese ha portato quella freddezza sottoporta spesso mancata, contribuendo con una media gol eccellente a mettere nel carniere diversi punti importanti. La piccola ala svedese è stato il colpo a sorpresa dello staff tecnico, e quando tutti si aspettavano un difensore straniero per sopperire all’abulia di Heikkinen, Habisreutinger è riuscito a portare alla Resega un attaccante di altissima classe, in grado di emergere in varie fasi di gioco e soprattutto con fama di grande leader e “agitatore”.
Queste qualità sono subito state messe in pista al servizio della squadra, per gli occhi dei tifosi e per la grinta dei compagni, spesso e volentieri animata dal gioco ma anche dal carattere esuberante dello svedese. Indubbiamente Pettersson ha pure permesso a Fischer di mettere in pista un’altra linea finalmente produttiva tanto quasi quanto la prima, arma non di poco conto sulla lunga distanza.
Come anticipato, occorre mettere in evidenza il lavoro fondamentale di chi, suo malgrado, rimane sempre un po’ in ombra, ossia l’assistent coach. Nel caso specifico parliamo di Peter Andersson, che nelle sue vesti di grande ex – cosa in comune con Fischer – conosce alla perfezione l’ambiente bianconero, parte dello staff e soprattutto il campionato svizzero, pur se siano passati più di dieci anni.
Di sicuro, se la difesa del Lugano è tra le meno perforate del torneo, il merito è in gran parte suo, capace con giocatori per lui nuovi, di sapersi adattare allo stile di gioco voluto da Fischer, valorizzando per quelle che sono le loro caratteristiche tutti i componenti del reparto arretrato. A nessuno viene chiesto di fare ciò che non sa fare, ma semplicemente di applicarsi al meglio sulle proprie caratteristiche al servizio del gruppo, l’esempio di Kparghai ne è testimone. Lo stile di gioco semplice, lineare, fisico e senza fronzoli ha costruito una difesa che non solo subisce pochissime reti, ma, dato importante e a volte trascurato, concede solo pochissimi tiri pericolosi agli attaccanti avversari.
A giovarne sono anche i portieri, gestiti col turn over da parte di Fischer, grazie anche al sagace lavoro di Luongo. Se Manzato sta facendo comunque il suo, con alcuni picchi di alta qualità, a essere salito alla ribalta è stato soprattutto Merzlikins. Il giovane lettone ha stupito tutti – ma probabilmente non chi lo conosceva – garantendosi la fiducia del coach dopo alcune prestazioni di alto livello tecnico ma anche caratteriale.
Un grande atout di Merzlikins è proprio il suo carattere esuberante e spavaldo, un aiuto nei momenti di tensione ma anche una pericolosa arma a doppio taglio che sinora è stata ben controllata dallo staff tecnico, nonostante un paio di passaggi a vuoto. Nota “stonata” l’accantonamento di Flückiger, che rientrato dalla lunga assenza si è trovato chiuso dalle ottime prestazioni dei due titolari, comprovate anche dalle cifre: lusinghiero il 91,1% di parate di Manzato, a fronte dell’ottimo 93,1% di Merzlikins, che lo piazza al quarto posto tra i portieri della LNA (tenendo conto di chi ha un minutaggio d’impiego alto).
L’autunno-inverno 2013 è stato significativo anche per i giovani del Lugano. Tra i giovanissimi si è imposto soprattutto Dal Pian, in attesa dei risultati del programma di sviluppo di Fazzini e a fronte dello stallo di Simion, prossimo giocatore del Davos. In più si sono affacciati anche Balmelli – tornato a Turgovia dopo una serie di splendide prestazioni – e seppur più raramente anche Romanenghi e Sartori. Tutti assieme, se gestiti con oculatezza, garantiscono un futuro a loro stessi e alla prima squadra.
Tra i giovani “più esperti” c’è stata l’esplosione di Kostner, punto fermo della prima linea e fido scudiero del miglior Mclean mai visto in Svizzera. L’altoatesino è cresciuto moltissimo sul piano tecnico, cosa che lo ha aiutato finalmente a trovare numerose reti e assist, come ricompensa per un lavoro massacrante e estremamente intelligente. In difesa le prestazioni di Ulmer e Schlumpf confermano la crescita di due scommesse finora vinte e dalle grandi potenzialità di sviluppo, emergendo come futuri pilastri e ricambi degni dei più esperti Vauclair e Hirschi.
A conferma della bontà di scelte, crescite e operazioni di mercato c’è la classifica. Senza quel periodo nero di settembre sarebbe potuta essere addirittura da vertice, ma forse proprio quel momento ha rafforzato la squadra. Basti fare il confronto con la passata stagione per avere un’idea del cambio di passo: a Natale il Lugano di Huras era 9° con 47 punti, con sì 110 reti segnate contro le 91 di oggi, ma anche con 102 subìte a fronte delle sole 81 incassate durante l’ultimo autunno.
Tra tutte queste note positive ci sono da annoverare alcuni difetti che ancora affiorano dal normale processo di costruzione della squadra. Da un lato , nonostante gli ultimi risultati positivi, qualche passo storto come quelli di Losanna o contro Zurigo e Kloten denota ancora un certa immaturità, caratteristica comune delle squadre costituite da molti giocatori di giovane età.
Passando più sul tecnico, il power play, l’arma che perlomeno aveva permesso al Lugano di non affondare del tutto a settembre, si è inceppata malamente da un paio di mesi, e qui si pagano probabilmente i “sacrifici” di alcuni ormai ex giocatori e i momenti negativi attraversati da alcune pedine importanti, quali gli infortuni di Hirschi e Vauclair e l’apatia di Heikkinen.
Il quadro clinico è sicuramente rassicurante, quelle che erano considerate delle semplici scommesse ora si possono annoverare al 90% tra le realtà più belle, e nonostante qualche mugugno di qualcuno ancora scontento ora conosciamo le capacità del tecnico e la fiducia che ha riposto in tifosi e dirigenza. Il miglioramento principale fatto da giocatori, allenatori e dirigenti è stato proprio quello di sapersi unire su una barca sola durante le mareggiate più pericolose, per uscire dalle difficoltà con forza e decisione e affrontare le onde di punta, a costo di cappottarsi ma senza rinunciare alla traversata.
Avanti tutta a dritta, Lugano, oggi i temporali non fanno più paura.