NIZZA – Spesso si dice che Lugano, con le sue temperature e il suo lago, sia il posto più incantevole per giocare a hockey in Europa. Questione di gusti, ma se vogliamo applicare come caratteristiche solamente il caldo e le acque, allora probabilmente la città in riva al Ceresio deve arrendersi di fronte a Nizza.
Nizza? Già, la famosa località turistica francese sulla Costa Azzurra, nota per il suo mare, le sue spiagge, la mitica Promenade des Anglais e forse anche un po’ per la sua squadra di calcio, ha in effetti pure un club di disco su ghiaccio. Les Aigles de Nice militano nel massimo campionato transalpino e a difesa della loro gabbia c’è un portiere hockeisticamente svizzero, ovvero il 27enne Raphaël Garnier. Un piccolo viaggio alla scoperta di questo atleta nato e cresciuto a Caen e di una realtà poco conosciuta alle nostre latitudini.
Raphaël, come si vive in qualità di hockeista nella bella Nizza? Noi ci immaginiamo di vederti in spiaggia dopo gli allenamenti, intento magari a sfidare le onde del mare. È davvero così o siamo fuoristrada?
“Hai proprio ragione, Nizza è splendida. Pensa che siamo in dicembre, ma il sole splende e si può ancora trascorrere del tempo in terrazza all’aperto. La vita, insomma, è bella. Oltretutto, a un’oretta di distanza ci sono anche delle montagne, ideali per cambiare aria. Evidentemente per chi ama il mare oppure pescare è l’ideale essere qui. Dopo una seduta di allenamento si sale sul tram e in pochi minuti si arriva in spiaggia”.
Nizza appunto non la si accosta all’hockey. Parlaci di questo mondo hockeistico “niçois”, logicamente un po’ underground. Che tipo di realtà è?
“È chiaro, qui non si gioca il miglior hockey del mondo. La squadra non è nemmeno certamente una delle più rinomate o forti del campionato francese, ma c’è comunque della passione e la tradizione non manca. Entrare nella nostra pista, per parecchi di voi, sarebbe un piccolo choc. È situata al quinto piano di un immobile, la tribuna c’è solamente da un lato, mentre l’altro lato è in sostanza una vetrata con vista sulla città. In media giochiamo davanti a 1’000 spettatori”.
Il vostro impianto, il “Palais des Sports Jean Bouin”, ha una capienza di 1’200 persone. Quindi, in definitiva, giocate spesso con la pista quasi piena. L’ambiente sarà dunque comunque molto bello…
“Sì, è simpatico, certo un po’ meno rumoroso rispetto alla Svizzera. La cultura è un po’ differente. Abbiamo anche noi gli ultras, ma non sono tantissimi. In ogni caso, non possiamo certo lamentarci: è sempre molto bello poter giocare in casa”.
Presumo che in città tu sia un perfetto sconosciuto…
“È così, nessuno riconosce noi hockeisti. Ci sono dei vantaggi e degli svantaggi, ma nel complesso fa piacere poter gironzolare ovunque senza essere fermati. Mi ricordo quando ero a Friborgo: per Julien Sprunger e Andrei Bykov era praticamente impossibile passeggiare in incognito per la città”.
Ci sono dei media locali che vi seguono? Com’è la copertura?
“Il club ha un canale proprio di comunicazione. Si trovano interviste e riassunti delle partite. A volte arrivano dei giornalisti per seguire qualche allenamento o qualche partita. A livello televisivo c’è un canale locale che mostra i match e, infine, anche il partner mediatico della Lega copre un po’ quanto accade”.
Come sta andando la tua stagione? In sostanza, siete due portieri a dividervi le partite…
“Sta andando abbastanza bene, specialmente all’inizio giocavo parecchio. Ultimamente, invece, ho avuto una piccola flessione e ora ho un po’ meno spazio”.
Tuo papà Rodolphe ha alle spalle una lunga carriera in qualità di giocatore e allenatore in Francia. Lui non ha mai giocato in Svizzera, eppure tu ti sei trasferito giovanissimo a Friborgo. Come sei finito in riva alla Sarine e come mai questa scelta?
“Sono arrivato un po’ per caso all’età di 14 anni. Un portiere si era infortunato, era il mese di agosto. Mi recai quindi a Friborgo per fare un provino con i mini top e i novizi. Dopo una settimana i responsabili dei burgundi mi dissero di rientrare in fretta in Francia, prendere tutte le mie cose e tornare poi definitivamente in Svizzera”.
Presumo tu sia arrivato solo e senza la tua famiglia. Non è certo evidente, a 14 anni, lasciare i tuoi cari a Caen e partire alla volta di una realtà sconosciuta e lontana da casa…
“Esatto, arrivai da solo. Mi ricordo ancora la prima volta, il primo viaggio, quando presi il treno da Parigi per arrivare sino a Friborgo. Non fu così semplice. Dovetti pure cambiare treno, ma ora non ho più in mente se a Ginevra oppure a Losanna. Alla stazione di Friborgo, infine, c’era qualcuno del club ad accogliermi. Il primo anno e mezzo abitai presso una famiglia locale, in seguito andai in un appartamento apposito per giovani giocatori di proprietà della società”.
Ti ha aiutato a crescere più in fretta questo percorso? I tuoi genitori non si sono opposti?
“In merito alla prima domanda direi di sì. Per quanto riguarda la seconda, i miei avevano capito che ero già abbastanza maturo per lanciarmi in questa avventura e quindi acconsentirono senza problemi”.
Nelle giovanili del Gottéron hai giocato a fianco di ragazzi che ormai si sono affermati nel nostro massimo campionato, come ad esempio Ludovic Waeber, David Aebischer, Nathan Marchon, Axel Simic e Andrea Glauser. Hai ancora contatti con loro?
“Sì. Nathan, per esempio, è un amico. A volte ci sentiamo al telefono e passo pure a Friborgo a trovarlo. Ho mantenuto tanti contatti. Come altri grandi amici potrei citarti anche Nelson Chiquet, che ha appena concluso la sua carriera, e Tom Merola, il fratello di Melvin, attualmente in forza al Martigny”.
Nella categoria U20 hai avuto Jan Cadieux in qualità di allenatore. Che ricordi hai di lui?
“Cadieux era un allenatore abbastanza duro. È uno che chiedeva tanto ai giocatori. Pur non essendo stato a lungo alle sue dipendenze, ho imparato parecchio da lui”.
Terminata la gavetta nelle giovanili sei tornato in Francia. Nella stagione 2017/18 i primissimi passi nella massima lega in quel di Rouen (con la conquista del titolo), poi due anni a Tours nella lega cadetta e, in seguito, il ritorno ai vertici. Dapprima un anno ad Angers e poi ben tre a Grenoble. Quest’ultima tappa è stata parecchio fortunata: hai vinto un titolo e due Coppe di Francia. Come giudichi fin qui la tua carriera? Sei felice?
“Di base, con i titoli da te elencati ho un buon curriculum vitae, per così dire. Sono soddisfatto, però non ho mai giocato veramente un grandissimo numero di partite. È anche per quello che ho scelto di firmare a Nizza, con la speranza di impormi come titolare e giocare un numero più elevato di match. Questo è un po’ il mio obiettivo”.
A Grenoble hai sempre fatto coppia con l’esperto ceco Jakub Stepanek, famoso alle nostre latitudini per aver vinto il titolo con il Berna nel 2016. Com’era la convivenza? Hai approfittato parecchio della sua enorme esperienza e del suo know-how?
“C’era un’intesa abbastanza buona con lui, sia dentro che fuori dal ghiaccio. È stato piacevole lavorare al suo fianco e sicuramente ho potuto trarre qualche beneficio dalla sua presenza”.
Grazie al titolo conquistato con il Grenoble ci fu un’esperienza in CHL nella stagione 2022/23. Perdeste tutte le partite, ma ci fu l’opportunità due volte di affrontare una potenza come il Frölunda. Bei ricordi?
“Assolutamente, approfittai fino in fondo di questo cammino. Disputai due partite in qualità di titolare, a Berlino e, appunto, a Göteborg contro il Frölunda. I risultati non furono quelli sperati, ma fu comunque una gran bella esperienza”.
Nelle nazionali giovanili eri parte della selezione transalpina, ma per indossare la maglia della Nazionale maggiore hai dovuto attendere sino all’ultima primavera, quando hai finalmente debuttato con la Francia disputando un’amichevole. Nel 2028 ci saranno i Mondiali casalinghi a Parigi e Lione. È più un obiettivo oppure un sogno?
“Quando sei un professionista devi essere un competitore. Non posso dunque mica dire che sia un sogno. È un obiettivo, certo non facile da realizzare, non dipende solo da me: la concorrenza è tanta. Io provo a dare il massimo e a farmi notare; vedremo se basterà oppure no”.
Il tuo contratto a Nizza scade l’anno prossimo. Stai facendo un pensierino a tornare da noi grazie alla tua licenza svizzera? È un tuo traguardo? Anche a livello economico sarebbe decisamente più allettante…
“Sì, è chiaro. Io e la mia compagna stiamo bene qui a Nizza, ma la Svizzera è rimasta in un pezzo della mia testa. Tornare a giocare da voi è dunque un obiettivo. Anche qui vale un po’ lo stesso discorso di prima: sta a me mettermi in luce, vedremo se si aprirà qualche porta. Il problema è che il campionato francese non gode di molta considerazione da parte elvetica”.
Che progetti hai invece per il futuro a lungo termine, una volta che avrai appeso i gambali al chiodo?
“Non ho ancora riflettuto troppo, l’unica cosa che so è che una volta terminata la carriera voglio tornare a vivere a Friborgo, dove in sostanza sono diventato grande, e anche ottenere il passaporto svizzero”.
Tra poco si avvicinano le festività di Natale. Nizza è rinomata anche per i suoi mercatini natalizi, che sono già in funzione. Li visiti ogni tanto?
“Ci sono stato con qualche compagno di squadra proprio qualche giorno fa. Si respira un’atmosfera molto simpatica”.
Il Natale è importante per te?
“Sì, perché è l’occasione di vedere i miei cari. Quando si abita a parecchia distanza, come nel mio caso, ci si incontra poco. Io e i miei genitori ci vediamo solamente due o tre volte all’anno. Solitamente per le festività mi raggiungono dalla Normandia. Per me è un po’ complicato fare il tragitto, un po’ a causa del calendario e degli impegni hockeistici, un po’ perché ho un cane e dunque prendere l’aereo con lui è complicato”.
E allora buon Natale a Raphaël Garnier, che ringraziamo per la disponibilità, con la speranza di vederlo un giorno a difesa di qualche gabbia sul suolo di casa nostra.