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Lugano

Tutti i capitoli di un effetto domino che ha affondato il Lugano

Tra obiettivi falliti e gestione del gruppo, Greg Ireland è il primo a pagare una stagione deludente, ma le colpe sono anche di chi lo ha lasciato solo e paradossalmente libero di trascinare una situazione logora

LUGANO – A Lugano è giunto il momento delle analisi. A freddo si discute e ragiona meglio, anche se delle analisi di una stagione segnata da tempo potevano essere fatte abbastanza in fretta.

Alla Cornèr Arena poco o nulla è funzionato, piccoli segnali “sismici” sono rimasti inascoltati da inizio stagione, e certe mosse non hanno di certo migliorato la situazione. Può darsi che in tanti ci siamo sbagliati dopo l’aprile scorso, ma forse qualcuno ha vissuto troppo su quell’onda pensando che la barca scivolasse da sola, invece nelle difficoltà si è creato un effetto domino.

Giocatori in discussione, allenatori allontanati, ma anche una società che tra membri presenti e altri più defilati e dal ruolo poco chiaro deve decidere chi comanda e in che direzione andare, con un direttore sportivo contestato per alcune scelte (rinnovi di contratto in corsa) e altre incomprensibili (immobilismo sul mercato straniero e mala gestione della questione dopo-Merzlikins).

Alla fine di un ciclo (perché questo è) il Lugano si rende forse conto che se la stagione scorsa è stata esaltante lo deve soprattutto al carattere della squadra e un gruppo mai così coeso, ma quest’anno ha pagato l’inattesa depressione post Gara 7, l’improvvisazione su parecchi livelli e la mancanza di coraggio in alcune scelte. Per far sì che il futuro sorrida occorre un ridimensionamento forzato e il ritrovamento di una nuova identità. Con coerenza e onestà, verso il pubblico e verso il club stesso.

Gli obiettivi comuni: Il Lugano ad inizio stagione aveva dichiarato di voler essere competitivo su tutti i fronti, campionato, Champions Hockey League e Coppa Svizzera. Uscito prematuramente in Coppa ha disputato un buon cammino in CHL senza però sfondare del tutto – eliminato dai futuri campioni, va detto – e in campionato è stato raggiunto il minimo sindacale dei playoff in extremis. Usciti mestamente ai quarti di finale in sole quattro partite, i bianconeri hano quindi bucato la loro annata, con ben poche attenuanti e dei risultati scritti a sottolinearlo.

Gli obiettivi interni: Tra gli auspici dei vertici vi era anche quello di vedere una squadra che potesse proporre un hockey attrattivo, ma molto raramente (diciamo quasi mai) i bianconeri hanno proposto un hockey almeno soddisfacente nonostante gli interpreti a disposizione.

L’inserimento dei giovani era un altro punto sull’ordine, ma aldilà di Riva (che più ghiaccio lo meriterebbe comunque) e un Romanenghi che non è mai uscito dai canonici nove minuti a partita, non si è capito bene cosa si voglia fare con Vedova (43’ totali) che quando impiegato ha sempre dimostrato molta più determinazione di qualche fedelissimo, e poi con l’oggetto misterioso Haussener, autore comunque di un buon campionato nei Ticino Rockets.

Senza parlare di Stefan Müller, impiegato solo quando Merzlikins era forzatamente ai box e in contesti ricchi di pressione malsana. Non sarebbero mai stati utili nemmeno per un po’ di sana concorrenza o per fargli capire che vengono presi perlomeno in considerazione futura? Stentiamo a crederlo.

La gestione del gruppo: Un primo scricchiolio lo si è avvertito ad agosto in Champions Hockey League, con l’ormai famoso sfogo di Greg Ireland in diretta televisiva. Episodi di nervosismo dello stesso coach – sempre documentati e di fronte a microfoni o telecamere – hanno fatto da brutto sintomo su un uomo che si è sempre dimostrato calmo e pacato in qualunque contesto.

Ricordiamo anche episodi di nervosismo tra giocatori in allenamento come pure arriviamo alla gestione discutibile di alcuni uomini. Benoit Jecker non è mai stato preso in vera considerazione e l’ex Bienne non è mai riuscito a trovare la fiducia dello staff, forse anche per una questione di personalità, ma è un giocatore da ricostruire.

Luca Fazzini è stato il topscorer svizzero della scorsa stagione ma è finito in quarta linea, dove con un minutaggio limitato a 11 minuti scarsi di media (oppure spesso schierato addirittura solo in power play) ha comunque messo a segno un bottino di 14 reti e 14 assist, tanto per capire il potenziale di chi avrebbe potuto dare una grossa mano quando i gol faticavano ad arrivare.

Stessa cosa per Cunti, protagonista di un buon inizio e portatore di quel sano tocco d’artista che non fa mai male. Mai messo in condizione di essere protagonista ha subito due infortuni (anche un po’ misteriosi sui tempi di recupero) in serie che lo hanno tenuto ai box per mesi, tempo nel quale ha trovato un contratto a Bienne come l’altro epurato di un anno fa Damien Brunner, scaricato per “i troppi infortuni”. Giocatori troppo poco “operai”? Personalità difficili da gestire? Sarà, ma bisogna essere in grado di dare gli stimoli giusti con bastone e carota, non sfruttare certi talenti è un sacrilegio e non si può avere una squadra di sola manovalanza.

Le situazioni di gioco: Il Lugano ha avuto il miglior attacco della lega in regular season (anche per reti a 5 contro 5) ma se è vero che gli attacchi vincono le partite e le difese i campionati ecco che il piatto nelle retrovie piange parecchio. I bianconeri si sono ritrovati con la 9a difesa del campionato e addirittura l’11esimo box play. Non è andata meglio in power play, anche qui con la penultima piazza, ancora 9a per i tiri subiti. I bianconeri sono stati anche la squadra più penalizzata, e questo non deve essere per forza un male, ma con un box play del genere le cose non possono che precipitare.

Gli stranieri: Che Linus Klasen non fosse tra i favoriti del coach lo si sapeva e tra un infortunio e l’altro si è potuto comunque coprire un po’ questa scarsa considerazione. Che poi non sia il giocatore che da solo ti fa vincere una serie di playoff è magari vero, ma vale anche per lui il discorso fatto per Fazzini, ossia lo spreco di uno dei più grossi investimenti del club negli ultimi anni.

Lapierre e Lajunen sono stati attanagliati anche loro dai problemi di salute ma hanno vissuto una stagione nettamente al di sotto delle aspettative. Chorney è stato l’ennesimo difensore straniero “bucato”, buono da novembre a febbraio, disastroso al suo arrivo e nei playoff.

Tra di loro è poi giunto Haapala, giocatore di sicuro talento ma portato in situazione di grande bisogno per la squadra inspiegabilmente senza alcuna preparazione fisica e reduce pure da un’operazione all’anca. Quando poi ce n’era assoluta necessità di rinforzi l’immobilismo sul mercato pre-playoff europeo (con la KHL che “scarica” diversi giocatori) è stato assolutamente incomprensibile, fosse stato anche per cercare un ripiego a basso costo come lo era stato un certo Ryan Johnston. Poca convinzione? Se non si colgono le occasioni non si potrà mai sapere cosa riservano.

I contratti: A LapierreLajunen sono stati rinnovati i contratti praticamente “sulla fiducia” in pieno corso di un campionato deludente e nettamente insufficiente da parte dei due citati. Non era forse il caso di attendere fine stagione per valutare il da farsi? Il Lugano è stato veramente disposto a caricarsi un rischio simile con la partenza di Hofmann e quella di Merzlikins che obbligano a rivedere anche il pacchetto stranieri? Tutto il contrario ciò che si è fatto con Ireland, forse trascinando troppo la situazione ormai logora ma perlomeno attendendo il risultato finale per decidere, salvo alcune dichiarazioni d’intenti contradditorie durante la stagione.

Il portiere: Ce la si può raccontare nella maniera che si vuole, ma della partenza di Elvis Merzlikins per il Nord America si sapeva già da tempo. Che fosse poi solo una possibilità o un atto concreto questo non importa, il Lugano doveva muoversi da tempo per cercare un sostituto svizzero in caso di evenienza. Solo a stagione inoltrata ci si è resi conto dei treni persi, con l’ultimo top (Tobias Stephan) che ha preferito Losanna e da lì ci si è concentrati verso un sostituto straniero.

Un ritardo di programmazione che ha risvolti sulla costruzione della squadra non indifferenti e ora, forse capendo che un ciclo è giunto al termine, si è ripiegati con ogni probabilità su Sandro Zurkirchen, tornando alla soluzione svizzera. Che è un buon portiere ma non uno su cui puntare per obiettivi molto alti, costringendo definitivamente a rivedere i piani e costruire una squadra con obiettivi ridotti. Non per forza però questo potrebbe essere un male.

La presenza della società: Vicky Mantegazza ha risposto a ragione affermando che non può esprimersi pubblicamente ogni settimana. Verissimo, ma ci sono dei momenti che richiedono prese di posizione del club, come quei giorni difficilissimi di gennaio con il Lugano sprofondato nell’imbarazzo.

Ha una grossa qualità il presidente bianconero: è sempre tra la gente senza volersi dileguare. Ma grazie a questo deve essere in grado di capire quando il pubblico (l’intera comunità che sta sotto la sua presidenza) ha bisogno di rassicurazioni, magari poche parole ma nei momenti giusti, senza per forza prendere parola ogni settimana.

Il vicepresidente Andy Näser è invece è stato capace di uscirsene con parole tanto banali quanto raggelanti per la carica che ricopre e per il momento di profonda crisi in cui era sprofondato il Lugano, rilasciando un’intervista quasi surreale per la mancanza di presa di posizione e la leggerezza in quel periodo nero, quasi da non capire cosa stesse succedendo. In tutto questo salta all’occhio la mancanza di una presenza forte, un top manager che faccia da collante tra proprietà, direzione sportiva, squadra e pubblico, un parafulmine con pieni poteri con il ruolo da sergente maggiore in un team che appare privo di veri leader.

Il futuro: L’asse su cui si era costruito un ciclo potenzialmente vincente non c’è più. Merzlikins, FurrerHofmann dovevano essere il telaio di una squadra pronta a lottare per il titolo, andandoci veramente vicina solo la scorsa stagione in Gara 7 di finale.

A Lugano giungeranno Suri e Lammer, giocatori di grande valore, (oltre a Zangger) ma la partenza di un fuoriclasse da 30 e rotti gol a stagione e di un portiere che più di tutti aveva trascinato il Lugano in certe cavalcate non fanno che ridurre gli obiettivi da ricercare.

Potrebbe essere l’occasione per ritrovare un’identità perduta, per finalmente valorizzare i giocatori di casa propria e per riportare divertimento a un pubblico che lo merita più di chiunque altro. Magari senza pressione tutto riuscirà meglio, l’importante è che tutti ne siano consapevoli e muovano i remi dalla stessa parte.

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