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Coppa Spengler

Sean Burke tra Europa e NHL: “La Svizzera ha il rispetto di tutti, qui si fa un ottimo lavoro”

Chiacchierata a 360° con l’ex portiere con alle spalle oltre 850 partite NHL, oggi GM del Team Canada e scout per i Canadiens: “Alla Spengler tanta storia e un’atmosfera particolare, anche in Canada è diventata una tradizione”

DAVOS – Alle nostre latitudini non capita spesso di poter incrociare delle vere leggende, ma di tanto in tanto la Coppa Spengler di Davos offre la possibilità per un’eccezione, e quest’anno nello staff del Team Canada c’erano due nomi decisamente di prestigio.

La gestione sportiva della selezione è infatti affidata a figure del calibro di Ron Francis e Sean Burke, nomi che hanno fatto storia in NHL negli scorsi decenni e che ora continuano a dare il loro contributo dietro una scrivania.

Con il secondo – 51enne ex portiere con alle spalle oltre 850 partite NHL con Devils, Whalers, Hurricanes, Canucks, Flyers, Coyotes, Lightning e Kings – ci siamo seduti ad un tavolo per una chiacchierata a 360° sul mondo dell’hockey, a partire dalla presenza dello stesso Sean Burke a Davos.

“Prima di venirci di persona non sapevo molto a riguardo della Coppa Spengler, ma mi è sempre stato descritto come un appuntamento davvero speciale, basti pensare che si tratta del torneo più datato in tutto il mondo dell’hockey”, spiega Burke, oggi attivo anche come scout dei Montreal Canadiens e per la terza volta a Davos. “Posso confermare quanto si dice dopo aver avuto l’opportunità di viverlo diverse volte, c’è un’atmosfera particolare che deriva da una forte tradizione e sono davvero felice di poterne fare parte”.

© Sports Illustrated

Per il Team Canada è oramai una tradizione, ma che percezione della Spengler c’è in Canada? Soprattutto con i Mondiali U20 che si svolgono nello stesso periodo…
“Le due cose non vanno a scontrarsi, ed anzi le reti televisive hanno iniziato ad “impacchettare” assieme i due tornei. In Canada da anni TSN offre la copertura della Spengler e per gli appassionati è diventata una sorta di tradizione seguire sia quanto succede a Davos che gli incontri tra nazionali U20… Con il Team Canada vediamo questa eccitazione in particolare nei genitori dei nostri giocatori, che sono felicissimi di seguire la squadra dopo aver visto la Spengler per anni in televisione. Naturalmente non avrà mai l’importanza dei Mondiali U20, ma negli anni è diventato un torneo che la gente ama godersi durante le festività”.

Per i fans in Canada è inoltre un’opportunità di rivedere in pista alcuni giocatori di cui ci si era forse dimenticati…
“Sicuramente. Molto spesso la nostra squadra è composta da giocatori che hanno passato una porzione delle loro carriere nella NHL, oppure che hanno fatto delle apparizioni ai Mondiali e Olimpiadi, dunque sono nomi che la gente conosce, anche se non si sentono tutti i giorni. È però sempre interessante per il pubblico scoprire dove stanno giocando ora alcuni volti che vedevano sul ghiaccio in passato in Nordamerica”.

Alcuni giorni fa la Svizzera U20 ha giocato un’ottima partita contro il Canada. Cosa pensi dei passi avanti fatti dal nostro hockey nel corso degli ultimi anni?
“In generale la Svizzera ha sempre dato del filo da torcere al Canada, basti ricordare che ci hanno eliminati agli ultimi Mondiali, e non era stata la prima volta. Da sempre si considera la Svizzera come una piccola nazione che ha fatto un grande lavoro nel far crescere i propri giocatori, ed infatti oggi in NHL ci sono diversi ottimi elementi dal vostro paese. Il perché lo si capisce quando si viene a vedere alcune partite della NLA, e per questo bisogna sempre ricordare di non prendere mai la Svizzera alla leggera”.

Presto anche in Europa si potrebbe passare alle piste in formato NHL…
“Personalmente sono favorevole all’idea. È innegabile che giocare sulle piste europee abbia portato un certo elemento di unicità nel corso degli anni, ma credo che il gioco sia arrivato ad un punto in cui – considerando il livello di velocità e tecnica – le piste piccole permettano ai giocatori migliori di mettere maggiormente in mostra le loro abilità. Si può essere tentati di pensare che questo succeda a maggior ragione su una superficie più ampia, ma spesso gli attaccanti vengono tenuti lontani dalla porta, si gioca tanto negli angoli e non si creano tante giocate eccitanti quante se ne vedono sulle piste nordamericane. Per i fans sarebbe sicuramente più bello se anche in Europa si giocasse su piste più piccole”.

Rispetto ai tuoi tempi i portieri sono cambiati e sono sempre più performanti. D’altro canto si tende però a voler fare di tutto per avere un gioco con più reti, complicando il loro lavoro…
“L’aspetto principale che si considera è naturalmente l’equipaggiamento. In campo internazionale i portieri possono ancora utilizzare delle protezioni relativamente grandi, mentre la NHL sta andando in una direzione diversa ed ha fatto un buon lavoro nel rendere l’equipaggiamento un elemento principalmente volto alla protezione del giocatore, e di conseguenza oggi si vedono più gol. La priorità deve essere quella di proteggere i portieri e l’equipaggiamento non deve andare oltre questo scopo e coprire più spazio del necessario, dunque credo che anche a livello internazionale si debba compiere uno step in tal senso”.

Se si cerca “Sean Burke” su Youtube, il primo video che compare è una tua bagarre contro i Buffalo Sabres… Scene che oggi sono oramai rare anche in NHL, un fatto positivo?
“Credo sia un bene che le bagarre siano quasi sparite, visto che ai miei tempi parecchie erano inutili, ed anzi venivano fatte quasi più per un motivo di intrattenimento. Sono però dell’opinione che, vista la natura fisica del nostro sport, ci sia ancora spazio per un regolamento di conti con quel tipo di intensità, anche se nelle squadre di oggi non troviamo più dei tipici fighters, giocatori il cui compito era quello di proteggere i propri compagni. Non bisogna però andare nella direzione di eliminare completamente le bagarre, perché questo aprirebbe le porte ad un maggior numero di colpi proibiti… In generale comunque non mi mancano i vecchi tempi, non ricordo di essere mai andato ad una partita ed aver pensato “oh, avrei voluto ci fosse anche un fight durante il match”.

La NHL si espanderà a 32 squadre con l’arrivo di Seattle, mentre Quebec City continua ad aspettare…
“Questa è una domanda che andrebbe posta a qualcuno ad un livello ben più alto del mio. Ovviamente Quebec City è una città con un grande amore per l’hockey, i fans hanno tanta passione ed ero sempre eccitato all’idea di giocare li, ma queste questioni riguardano principalmente aspetti finanziari e sono sicuro che la NHL abbia delle ragioni valide per supportare le decisioni che sono state prese. È però innegabile che dal punto di vista dei fans e dell’entusiasmo che si verrebbe a creare, Quebec City non sarebbe seconda a nessuno”.

Se si pensa alla NHL in Canada c’è un anno che resta significativo, il 1993… L’ultima volta in cui una squadra canadese ha vinto la Stanley Cup. Quanto è importante che questo digiuno finisca presto?

“C’è sicuramente un’attesa in questo senso, in particolare a Toronto, dove l’ultima coppa è arrivata nel 1967 ed ora si ha la speranza di arrivare fino in fondo grazie ad un’ottima squadra. In generale non credo però faccia poi così tanta differenza, questo a patto che in Canada si riescano ad avere sempre dei club competitivi… Quest’anno quasi tutti le sono, anche a Winnipeg e Calgary ci sono delle buone squadre, mentre ad Edmonton si può vedere in pista il miglior giocatore al mondo. I Canucks invece sono giovani ma stanno crescendo… Credo che l’hockey sia molto sano in Canada ma bisogna sempre ricordarsi che in NHL la concorrenza è altissima”.

Lo scorso inverno hai assemblato un Team Canada senza giocatori NHL per le Olimpiadi… Che opinione ti sei fatto sull’argomento?
“Credo che tutti vogliano rivedere i giocatori NHL alle Olimpiadi, ci vogliono gli atleti migliori per poter davvero mostrare al mondo il nostro sport. Sono però sicuro che la NHL, la IIHF e tutte le parti coinvolte lavoreranno molto duramente per riportarli ai Giochi, ma allo stesso tempo le ultime Olimpiadi sono state uniche ed hanno dato un’opportunità irripetibile a diversi bravi giocatori. A conti fatti, però, ad un appuntamento del genere vuoi essere rappresentato dai tuoi atleti migliori e questi sono quelli che militano in NHL”.

Chi vincerà la Stanley Cup quest’anno?
“Questa è una bella domanda. Nelle ultime settimane non ho potuto vedere molte partite NHL, ma credo che al momento ci siano 6-8 squadre che possano ambire alla coppa. Sono fortunato di non dover piazzare una scommessa in questo senso, perchè sarei in difficoltà. Guardando ai miei Montreal Canadiens sono però contento del modo in cui stiamo giocando… Non possiamo essere considerati dei favoriti per la Stanley Cup, ma siamo molto competitivi e tutti sappiamo che quando iniziano i playoff tutto può succedere”.

Una curiosità per concludere: nel corso della tua carriera, chi aveva il tiro più difficile da fermare?
“Nella prima parte della mia carriera sicuramente gli avversari più difficili da affrontare erano i russi. Quando ero un giovane portiere c’erano i “russian five”, linea composta da Fetisov, Kasatonov, Krutov, Larionov e Makarov e che era davvero impressionante e difficile da arginare. Se devo però guardare alla mia intera carriera in NHL possono individuare un nome, ovvero quello di Mario Lemieux. Il suo tiro era pazzesco”.

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