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On fire or on the bench: ecco i protagonisti della settimana!

holtby

Braden Holtby

Ci sono record scolpiti nella pietra e che non verranno mai superati, e poi ce ne sono altri piuttosto recenti, ma stabiliti da giocatori con un’aura talmente mitica che ci si sente quasi in colpa a scomodare. È stato così con grandissimo rispetto che il portiere dei Washington Capitals, Braden Holtby, si è presentato sul ghiaccio dei St. Louis Blues per la sua ultima partita della regular season, che gli ha permesso di ottenere la vittoria numero 48 della stagione, eguagliando il record stabilito nel 2006/07 da Martin Brodeur.

Ironia della sorte, Holtby si è issato alla pari leggendario Marty proprio sotto gli occhi di Brodeur, ora impegnato come assistente GM dei Blues dopo una vita passata a difendere la porta dei Devils. Raccogliendo il puck a fine partita per posizionarlo con cura nella sua personale bacheca, Holtby ha potuto guardare a testa alta tra le tribune sino a scorgere quell’ex portiere che aveva passato l’infanzia ad ammirare in TV, perché lui le 48 vittorie le ha ottenute in sole 66 partite, 12 in meno di quelle che Brodeur aveva dovuto giocare poco meno di dieci anni fa per ottenere lo stesso primato.

Qualche sorriso, una foto di rito, e poi tutto il credito è andato alla squadra. “Non è un record individuale – ha commentato il 26enne del Saskatchewan – è qualcosa che posso condividere con tutta la squadra, ed è così che lo vedrò ripensandoci in futuro. Sono contento di aver ottenuto questo traguardo, visto che dopo alcune sconfitte all’overtime stava diventando una distrazione”.

Già, perchè in fondo la mostruosa stagione di Braden Holtby ed il fatto di aver fatto registrare dei numeri degni di una leggenda come Brodeur, non significano nulla se poi non si arriva ad alzare al cielo quella Stanley Cup che Marty ha conquistato tre volte.

Newark ha avuto il suo eroe, Washington sta aspettando.


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La Nazionale russa U18

Il Meldonium, la sostanza che ha fatto più parlare di se negli ultimi mesi e da poco inserita nella lista delle sostanze proibite dalla Wada (Agenzia internazionale dell’antidoping), ha scoperchiato clamorosi casi di assunzione in diversi sport, coinvolgendo diversi sportivi dell’est.

Tra i primi atleti a essere scoperti c’è la tennista Maria Sharapova, seguita poi dal ginnasta Nikolai Kuksenkov, e dalla nuotatrice Yulia Efimova. Questi sono solo alcuni dei casi di 28 atleti individuali russi trovati positivi alla sostanza proibita dal 1° gennaio 2016 (ogni giorno nuovi casi registrati a livello planetario, oltre 130 in totale), cosa che ha fatto sorgere i primi sospetti su un uso molto radicato soprattutto nella nazione dell’est.

Persino la nazionale russa di curling è stata esclusa dal mondiale perché ci sono gravi prove di assunzione della “nuova” sostanza. Un caso dietro l’altro di atleti di spicco e subito sono comparse le prime ombre di un doping di stato che ha riportato alla memoria ai tempi dell’Unione Sovietica, con gli sportivi di ogni età sottoposti a pratiche dopanti che nel tempo hanno causato anche danni molto gravi alla salute degli atleti.

Un’altro indizio che ormai fa una prova purtroppo proviene dal mondo dell’hockey su ghiaccio, scosso dalla notizia della Nazionale russa U18 squalificata dai mondiali perché trovata positiva in ogni suo componente al famigerato Meldonium.

Il caso ha confermato definitivamente queste pratiche di dopaggio a ragazzi giovanissimi, a cui veniva somministrata quotidianamente la sostanza incriminata, come confermato da qualche medico “pentito”, nonostante le fumose parole di circostanza e riparazione della federazione russa.

Il Meldonium, lo spieghiamo, è una farmaco prodotto in Lettonia che tra gli effetti prolunga la resistenza agli sforzi, aiuta la circolazione sanguigna e di conseguenza favorisce l’ossigenazione ai tessuti muscolari. Può anche darsi che abbia effetti meno potenti rispetto ad altre sostanze proibite, ma se l’uso di un farmaco (che tale rimane) è così in uso nello sport, non è di certo perché gli atleti abbiano improvvisamente i sintomi di un’ischemia.

C’era da aspettarselo purtroppo, ma non solo per la credibilità di questo sport, ma a far rabbrividire è il fatto che ad esserne protagonisti siano dei ragazzini, e purtroppo possiamo solo immaginare che siamo ancora alla semplice punta dell’iceberg.

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