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Interviste

Noreau: “Ho fatto tutto per tornare ad Ambrì. A Berna per vincere”

Era partito da Ambrì con il sogno di potersi ritagliare un posto nei Colorado Avalanche ma, nonostante due buone stagioni in AHL, la chiamata del leggendario Patrick Roy non è mai arrivata. Per Maxim Noreau era dunque tempo di voltare pagina, stabilire nuove priorità e dedicarsi a quel sogno riposto in un cassetto alla sua partenza dal Ticino, ma che sin dall’inizio sapeva che avrebbe prima o poi recuperato: fare ritorno in Svizzera.

“Era la mia intenzione sin dal principio – ha spiegato il canadese – e visto che le cose non hanno funzionato con l’Ambrì, sono felice di aver trovato un accordo con il Berna. È eccitante poter raggiungere la squadra che ha appena vinto il campionato”.

Cosa ti ha convinto ad accettare l’offerta del Berna, piuttosto che quella di un’altra squadra?
“Nel momento in cui il mio agente mi ha informato che non vi era per me la possibilità di tornare in Leventina, gli ho detto di ascoltare tutte le offerte e di parlare con il maggior numero di DS possibili… Quando è uscito il nome del Berna, però, gli ho immediatamente chiesto di insistere in quella direzione. Ho parlato con Reichert, con cui avevo giocato ad Ambrì, ed anche con Travis Roche, mio compagno alla Coppa Spengler, e tutti mi hanno raccontato delle loro vittorie a Berna e delle loro belle esperienze. Si tratta di un club prestigioso che si colloca in un mercato molto grande, con tantissimi fans e in una bella città… Ho sempre sentito cose positive sull’organizzazione e sulla loro volontà di cercare di vincere in ogni stagione. Per me questo era importante, gli anni passano e mi concentro sempre meno sulle prestazioni individuali e più sul successo di squadra. Voglio andare a Berna per vincere e divertirmi. In tutta onestà, dal momento in cui mi è stato detto che dovevo andare altrove ed il Berna ha mostrato interesse, non è stata una decisione difficile”.

Come sono andate le cose con l’Ambrì? Ti hanno comunicato di non volerti?
“Ho parlato con loro circa un mese prima del rinnovo di Mäenpää, ed in quel momento le mie intenzioni erano chiare. Sapevo che non sarei mai stato richiamato da Colorado, ma visto che stavo giocando molto bene in AHL non ero molto felice, ed ho così deciso che era tempo di tornare in Europa. “Chiama l’Ambrì, voglio giocare lì!”, ho detto al mio agente, che ha così parlato con i biancoblù per un po’, ma la cosa andava sempre per le lunghe. L’Ambrì non era mai disposto a darmi una risposta, questo nonostante avessi manifestato la mia volontà di tornare, e dopo un periodo in cui la discussione era sempre a metà hanno rinnovato con Mäenpää. Logicamente per me ed il mio agente quello è stato un segnale decisamente chiaro. Ci sono state altre discussioni con l’Ambrì ma – anche se non posso entrare nei dettagli – mi hanno sostanzialmente detto che avevo la liberà di andare dove volevo. Mi dispiace, perchè ho ricevuto tanti messaggi di persone che mi scrivono “Perché non vuoi tornare? Lo sapevamo che non saresti tornato, …”, ma ho davvero aspettato tanto e volevo tornare. Non voglio che la gente pensi che abbia firmato a Berna perché non volevo giocare per l’Ambrì, sono a Berna perché l’Ambrì mi ha detto di andare altrove”.

Con l’Ambrì avevi però un contratto valido…
“Sì, il precedente accordo era ancora valido. Non conosco tutti i dettagli, perché di questo si occupa il mio agente, dunque non so precisamente cosa si siano detti lui, Lombardi ed il DS dei leventinesi. Alla fine il mio agente è tornato da me dicendomi che eravamo liberi di accordarci con un’altra squadra… Con l’Ambrì c’era un contratto ma hanno deciso di non usarlo. A quel punto naturalmente non ho aspettato oltre, ho una famiglia da mantenere e la cosa importante era per me trovare un lavoro”.

Mentre eri oltre oceano ti sei sposato ed ora aspetti un figlio… Nella decisione di tornare in Svizzera, quanto ha pesato il fatto di poter restare di più con la tua famiglia?
“Davvero tanto. Penso che nel mio periodo passato ad Ambrì lo abbiano visto tutti: dò davvero tanta importanza alla gente ed avevo rinnovato il contratto con i biancoblù proprio per ridare qualcosa alle persone che tanto erano state gentili con me. Questo mi faceva stare bene, ed anche mia moglie era felice, dunque per noi sarebbe stato ovviamente fantastico poter tornare. Sfumata quell’opzione, la seconda doveva essere un altro club in Svizzera, perché vogliamo vivere in un posto in cui siamo a nostro agio e con una buona qualità di vita. Avrei potuto aspettare e guadagnare di più in Russia, ma i soldi non erano la mia priorità”.

Hai giocato due buone stagioni in AHL, nonostante un grave infortunio durante il primo anno… Gli Avalanche però non ti hanno mai chiamato, sei deluso?
“Non mi pento di averci provato, questo è sicuro, perché non volevo restare ad Ambrì o in Svizzera con il rimpianto di non essermi giocato tutte le mie carte per un’ultima volta. Lo scorso anno mi sono fatto male alla spalla proprio quando stavo giocando bene e pensavo di essere in procinto di essere richiamato, ma d’altro canto l’anno successivo ho potuto concentrarmi di più sulla squadra e sugli aspetti difensivi del mio gioco. Il mio bottino di punti è stato buono nell’ultimo campionato, ma la cosa di cui vado fiero è il fatto di essere uscito in positivo da una stagione in cui tutta la squadra era in negativo… Abbiamo subito tantissimi gol e siamo arrivati ultimi, ma sento che il mio gioco difensivo è migliorato molto. Riuscendo a fare molti punti pur giocando bene in difesa credevo mi avrebbe dato qualche opportunità con Colorado, ma così non è stato… Da questo punto di vista sono deluso, avrei voluto dare una mano, ma è stato lì che ho capito che per gli Avalanche non avrei mai giocato”.

Hai parlato del gioco difensivo… In quali altri aspetti il Noreau di oggi è diverso da quello di due anni fa?
“C’è stato sicuramente un cambio di mentalità. Nei primi anni della propria carriera si pensa molto a se stessi e a dimostrare di poter segnare e fare tanti punti, e con San Antonio abbiamo fatto talmente fatica che ad un certo momento il bottino individuale era più importante dei punti in classifica. Questa è una situazione che non voglio più. A Berna mi troverò in un contesto differente, in cui dovrò sì fare i miei punti, ma sarà il successo generale della squadra a determinare il mio, senza che mi debba preoccupare di finire al primo posto tra i marcatori o cose del genere. A fine stagione non voglio essere il top scorer, voglio essere nella squadra che alza al cielo la coppa. Voglio essere un campione”.

Questo era dunque quello che andavi cercando, una sfida non individuale ma di squadra?
“Esatto. Preferisco avere la pressione di dover vincere, piuttosto che quella di dover segnare o fornire assist. Ad Ambrì ogni tanto quando non arrivavano i risultati tutti guardavano ai giocatori che avrebbero dovuto essere i marcatori migliori… Nelle squadre deboli la tendenza è quella di puntare il dito verso determinati elementi dovrebbero segnare di più. Quando invece si è in una squadra vincente la gente guarda meno alle statistiche individuali e guarda maggiormente il quadro generale… Se l’obiettivo è vincere, cambiano le prospettive. Il mio ruolo sarà sicuramente diverso a Berna, ad esempio è possibile che non dovrò giocare in boxplay… Ma sono pronto a tutto, voglio divertirmi e vincere”.

Il Berna avrà un duo finlandese in panchina, Jalonen e Peltonen.. Hai già parlato con loro?
“Non ancora. Il mio compagno a San Antonio, Mikko Rantanen, è però stato convocato dalla nazionale finlandese e, dopo essermi congratulato con lui (ha solo 19 anni ed è anche stato nominato rookie dell’anno in AHL), ne ho approfittato per chiedere la sua impressione su Jalonen. Mi ha detto che è un coach molto acceso e che cerca di trarre il meglio dai suoi giocatori, ed ha sempre l’obiettivo di vincere. Sono eccitato all’idea di incontrarlo in luglio”.

Pensando invece al momento in cui tornerai a giocare alla Valascia, come te lo immagini?
“Sarà sicuramente molto emozionante. Ho vissuto tre anni davvero divertenti ad Ambrì. All’inizio mi ero trasferito con l’obiettivo di restare una sola stagione per poi rincorrere di nuovo la NHL, ma ho cambiato velocemente idea dopo essermi trovato davvero bene durante la prima stagione in Leventina. Già a Natale ricevevo delle offerte dalle varie squadre e non sapevo come comportarmi, in Nordamerica non funziona così… Ma a quel punto avevo già deciso di lasciare a lato la NHL per un po’ e restare ad Ambrì. La mia famiglia era venuta a trovarmi ogni anno in Ticino, ed erano eccitatissimi quando i tifosi urlavano il mio nome. Se avevo giocato bene i fans mi chiedevano di tornare sul ghiaccio per un saluto, e quella era per me una cosa davvero speciale. Per questo mi fa arrabbiare si pensi che non abbia provato a tornare, ho amato il mio periodo ad Ambrì ed ho fatto di tutto”.

Per chiudere uno sguardo alla NHL… Chi vincerà la Stanley Cup?
“Se St. Louis riuscirà a battere Chicago, credo abbiano davvero una buona squadra con il potenziale per andare fino in fondo. Ho parlato con alcuni dei giocatori degli Avalanche che hanno sfidato i Blues, e tutti mi hanno detto che sono incredibilmente bravi e forti fisicamente. Come prima cosa devono però battere i Blackhawks. Se non dovessero farcela punterei su Washington. Vorrei davvero vedere Ovechkin vincere, perché per anni la gente lo ha bollato come un egoista, ma finalmente stanno venendo a galla degli aneddoti che indicano il contrario. Ho parlato con Orpik ed era sorpreso di quanto si dicesse in giro, Ovi è un bravissimo ragazzo ed un grande capitano, tutti lo adorano”.

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