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Lugano

La lunga e dolorosa caduta dei giganti alla Resega

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Se solo una stagione fa, o anche solo l’ultima estate, qualcuno avesse pronosticato scenari del genere, di sicuro sarebbe stato preso se non per pazzo, probabilmente almeno come personaggio fantasioso.

Quella di Glen Metropolit è solo l’ultima partenza di un altro “senatore” dello spogliatoio, che però a differenza di un Domenichelli o di un Fritsche che nemmeno aveva visto tutta la Resega, aveva scritto pagine memorabili dell’hockey bianconero.

Tutti ci ricordiamo del Metropolit in pigiama rosso con la bandana in testa a festeggiare con i tifosi in quella sera del lontano 2006, l’abbraccio con Harold Kreis e Geo Mantegazza, ci ricordiamo della straordinaria scorsa stagione, ma ci dimentichiamo che siamo tifosi, e che, cinicamente o crudelmente, i ricordi non fanno vincere nessuno.

Fa male veder partire “Pacman” in questo modo, fa male sentire dire da un coach “è stato un anno di troppo per lui” (forse fa male perché è la verità), ma forse fa meno male di quello che doveva perché sappiamo che le decisioni di Fischer sono fatte per il futuro (e il presente) della squadra. Ce lo sentivamo, dopo il tribolato mese di novembre, che una soluzione del genere potesse essere nell’aria, perché all’improvviso Metropolit non è più stato quello della scorsa stagione.

Oggi storciamo il naso, pensando a quel Metropolit, ma in verità, quanti avevano storto il naso quando il buon Glen aveva firmato una seconda volta in bianconero, per poi ricredersi alla luce dei punti di una stagione fa? È andata bene (a livello individuale, meno di squadra) la scorsa stagione, ma lasciamola da parte un attimo e pensiamo che non si possa negare che le situazioni tristi e clamorose vissute da settembre in avanti – ovviamente mi riferisco soprattutto a Metro e Domenichelli – vengano anche da una gestione sportiva che in passato ha preferito andare sull’usato sicuro reso più scintillante dai ricordi, piuttosto che rischiare e cominciare una ricostruzione che il solo Fischer ha avuto il coraggio di mettere in atto.

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Aldilà delle parole, giuste oppure no, tempestive o meno, ma ragionando con la testa più fredda – ahimè quanto è difficile di fronte a certi giocatori – queste decisioni hanno una crudezza direttamente proporzionale alla leggerezza con cui il Lugano del passato si è troppo spesso aggrappato alle vecchie glorie, ma, come già detto, di ricordi non si vince e nemmeno si vive.

È fuor di dubbio anche che Metropolit, guardando con occhio critico, aldilà di alcune partite buone, aldilà dei punti che a volte non dicono tutto, ultimamente non reggesse più il ritmo di avversari e compagni, e che nemmeno Domenichelli stia facendo sfracelli in quel di Berna, ma occorrerà anche per Metro far parlare i fatti.

Non nego che le uscite mezzo stampa del coach bianconero possano essere state pesanti, ma abbiamo imparato che si può avere fiducia in lui, e preferisco far parlare i fatti alle parole, perché Fischer avrà tutto il tempo per imparare a dosarle.

Ora ci si ritrova con un Lehtonen che fa storcere il naso per le statistiche non esaltanti in Svizzera, ma anche qui lo staff tecnico vuole cambiare mentalità, ancora una volta: basta giocatori che si reggono su forti individualità, ma dentro chi presenta caratteristiche più adatte al gioco d’insieme.

Come dire che non sono i giocatori migliori a fare la squadra migliore, ma sono quelli che meglio si adattano a farla più forte. La “crudeltà” sportiva a volte fa male, e con i campioni ci si lascia con i ringraziamenti di rito che sembrano una beffa, ma a volte basta poco ai tifosi per far passare la bruciatura e far tornare il sorriso, anche perché quello che ha fatto Metropolit a Lugano non può venir cancellato da questi giorni grigi.

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