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Lugano

Calma, intelligenza e gol pesanti. La metamorfosi di Martensson

Resega. Fine ottobre 2015.

Patrick Fischer è appena stato sollevato dalla carica di allenatore del Lugano ed i bianconeri sono mestamente sul fondo della classifica. Senza gioco, senza voglia, senz’anima. Sul banco degli imputati non solo l’allora tecnico bianconero, ma anche gli stranieri, che non incidevano più come nella stagione precedente. Pettersson e Klasen erano lontani parenti di quelli ammirati su tutte le piste svizzere.

Il più criticato non era però tra loro. A prendersi gran parte dei malumori dei tifosi sottocenerini (che spesso si sono trasformati anche in parole pesanti) c’era lui, Tony Martensson. Arrivato come risolutore dei problemi bianconeri nel ruolo di primo centro, lo svedese non riusciva proprio ad ingranare.

Passato al Lugano dopo la conquista della KHL al fianco di due giocatori qualunque (tali Kovalchuk e Thoresen, praticamente degli sconosciuti…) su di lui sono ricadute tante di aspettative, sia da parte dello staff tecnico che dai tifosi: Tony  doveva essere l’anello mancante per avere una prima linea finalmente bilanciata e con un centro che sapesse seguire le giocate dei gemellini svedesi (non ce ne vogliano Sannitz e Steinmann).

Cominciata la stagione ci si è però subito resi conto di una cosa: Martensson faceva maledettamente fatica. Lento, compassato, spesso in ritardo e avulso dal gioco, il numero 9 non solo non riusciva a seguire le gesta dei suoi compagni (i quali, va detto, non erano comunque in un periodo di forma fantastica) ma sembrava quasi ostacolare la manovra bianconera.

Poco utile in attacco, spesso fuori posizione in difesa, un disastro su tutta la linea. Con il Lugano in fondo alla classifica, Martensson è diventato uno dei capri espiatori della squadra, sorbendosi le critiche di buona parte di pubblico e media (tra i quali il sottoscritto, mea culpa), che si chiedevano come potesse un giocatore con tale esperienza e bagaglio tecnico fare così tanta fatica.

Il buon Tony ha incassato tutto senza proferire parola. Aveva altro a cui pensare. La sua famiglia, ad esempio, rimasta in Svezia con un figlio appena nato. Si può capire la preoccupazione di un padre lontano migliaia di chilometri, ma si sa che lo sport esula spesso da questi fattori, e per i tifosi contano i risultati. Comprensione per il Martensson uomo, nessuna pietà per il Martensson giocatore.

Poi, a partire dalla Spengler, qualcosa è cambiato. La famiglia lo raggiunge e Tony, in punta di piedi e con la calma che lo contraddistingue, comincia a fornire prestazioni di livello. Il pattinaggio aumenta, le reti arrivano con regolarità, fornisce assist intelligenti per i compagni e si amalgama nel gruppo.

L’esplosione dello svedese a partire dal mese di gennaio è lampante e sotto gli occhi di tutti, con il numero 9 che è diventato una pedina inamovibile nello scacchiere di Doug Shedden. E se i due funamboli bianconeri – Pettersson e Klasen – hanno ricominciato a girare a mille, lo devono anche al lavoro sporco (e non) del loro fratello maggiore.

Dopo sei partite di playoff, l’apporto di Martensson alla squadra è pazzesco: 5 gol, quasi tutti davanti alla porta e spesso in powerplay, vero tallone d’achille della squadra bianconera.

Martensson fa della calma e della lucidità di pensiero le sue armi principali (il passaggio per Brunner che ha consegnato la serie con lo Zugo ai bianconeri è fantastico per rapidità di ragionamento e posizionamento), fornendo l’apporto che gli si chiedeva all’inizio: chili e muscoli al servizio della squadra, ma usati in maniera intelligente.

Nei corridoi della Resega, durante Gara 2 di semifinale contro il Ginevra, si sentivano voci che mai nessuno si sarebbe aspettato di udire: “Martensson è perfetto, da rinnovare”. Ma come? Lo stesso Martensson che era stato messo in croce per mesi?

Riuscire ad emergere al momento giusto può cancellare interi periodi storici, figuriamoci pochi mesi giocati ad un livello non consono alle proprie abilità. Ma lui lo sapeva e l’ha sempre saputo, ha sempre dichiarato di essere un buon giocatore, e con la calma che lo contraddistingue lo sta dimostrando a suon di reti e prestazioni più che soddisfacenti.

Riprendendo una frase sentita in TV poco tempo fa: “Non pensavate mica che uno con la sua esperienza non mettesse almeno una firma sulla stagione…”.

Studente di comunicazione all'USI di Lugano, Diego si occupa delle interviste post-partita dalla Resega.

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